domenica 20 settembre 2009
Il ministro ha deciso di chiudere l’insediamento illegale in cui afghani, pachistani e iracheni bivaccano in attesa di procurarsi un biglietto per raggiungere la Gran Bretagna Forse domani le prime ruspe: la baraccopoli è già semideserta.
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A Calais, nell’estremo Nord della Francia, nessuno sa davvero chi l’abbia chiamato per primo “the jungle”. L’accampamento selvaggio sorge in un rado boschetto costiero a poche centinaia di metri dal porto da cui partono i traghetti per l’Inghilterra. A centinaia, i ripari di plastica, cartone o tela grezza sono avvinghiati ai tronchi battuti la notte dal vento gelido della Manica. Oppure sono fissati al suolo, in mezzo a cumuli di rifiuti di ogni tipo. Nella “giungla”, si parla soprattutto il pashtu, ma l’inglese serve benissimo da lingua franca. I pachistani e afghani di etnia pashtun riescono così a comunicare con le comunità “minori”, a cominciare dagli iracheni. Ma anche con eritrei, iraniani, somali e qualche scampato del Darfur sudanese. A parte l’inglese, i «residenti temporanei» hanno altri punti in comune. Fuggono spesso da conflitti spaventosi. Vogliono raggiungere con ogni mezzo e al più presto le bianche scogliere di Dover. Si sono fatti svuotare le tasche dalle diverse mafie che avevano «garantito» loro il viaggio di sola andata per Londra. Non sono perseguibili dalla legge francese. Quasi tutti possiedono in effetti la prova che le autorità del primo Paese Ue in cui sono giunti – spesso, la Grecia – stanno indagando in vista del possibile rilascio del tanto sospirato tesserino di rifugiato politico. Ma in attesa di una risposta da Atene, o contando al contrario proprio sulle lungaggini della macchina burocratica europea dell’asilo, il «viaggio» può proseguire quasi sempre fino a Calais, principale capolinea francese di chi aspira all’eldorado inglese. Certo, Londra ha rifiutato finora di firmare il Trattato di Schengen. Ma le vie delle migrazioni clandestine passano da anni anche per il drammatico azzardo di una traversata notturna sui camion merci imbarcati nei traghetti. Mercoledì scorso, il ministro francese dell’Immigrazione Eric Besson ha annunciato a gran voce che la “giungla” verrà smantellata entro la fine della settimana prossima. Ragioni invocate: l’aumento vertiginoso della criminalità nei dintorni dell’accampamento e le condizioni sanitarie spaventose (compresa una recente epidemia di scabbia). Agli occhi dei francesi, si tratta di un nuovo tormentoso “caso Sangatte”, dal nome dell’enorme centro nomadi gestito dalla Croce Rossa, sempre nei pressi di Calais, che nel 2002 Nicolas Sarkozy, allora ministro dell’Interno, decise di chiudere ufficialmente per ragioni analoghe. Da giorni, del resto, la girandola di polemiche interne è paragonabile a quella d’allora. Con le autorità e l’agguerrito fronte delle associazioni (spalleggiato dall’opposizione) che si scambiano l’accusa d’ipocrisia. Per il governo, il «buonismo» delle Ong fa solo il gioco dei «trafficanti di migranti», ai quali Parigi intende invece lanciare definitivamente un chiaro messaggio politico: «Non si passa più per Calais». Per le associazioni, invece, il governo prosegue nella politica dello struzzo, dato che sgomberare la “giungla” indurrà solo i migranti a sparpagliarsi nei dintorni o a partire verso altre frontiere con la Gran Bretagna (in particolare verso la Norvegia, Paese extra-Ue ma incluso nell’area Schenghen), come già in passato dopo la chiusura di Sangatte. Intanto, l’Onu esprime preoccupazione soprattutto per la presenza di decine di bambini. Su un solo punto, Parigi e le Ong sono d’accordo: il problema di Calais, in realtà, deriva in gran parte dalle attuali incoerenze della politica d’asilo all’interno dell’Unione europea e dello spazio definito dal trattato di Schengen. Subito dopo l’annuncio del ministro Besson, come prevedevano le Ong, la “giungla” si è già quasi interamente e spontaneamente spopolata. In pochi giorni, si è passati da una popolazione di un migliaio di migranti a poco più di un centinaio. Lo sgombero della polizia – che molti prevedono per domani, giorno di chiusura del Ramadan – potrebbe prendere così parvenze quasi surreali. Ma sempre domani è a Bruxelles che il governo francese, nel quadro del vertice dei ministri degli Interni dell’Unione europea, vuole presentare il “caso The jungle” come nuovo emblema di un problema pienamente europeo. Un problema che, fra l’altro, avvelena ormai da anni le relazioni fra Parigi e Londra.
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