lunedì 21 settembre 2009
Diecimila persone hanno reso omaggio alla camera ardente allestita alla cappella dell'ospedale militare del Celio. Oggi alle 11 I funerali di Stato alla basilica di San Paolo fuori le mura.
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Antonio, Davide, Giandomenico, Massimiliano, Matteo, Roberto. I nomi dei sei soldati uccisi a Kabul l’arcivescovo Vincenzo Pelvi li scandisce più volte durante la liturgia. Nomi che risuonano nella Basilica papale di San Paolo fuori le mura dove vengono celebrati i funerali di stato davanti ai vertici istituzionali e politici della Repubblica. Poco prima, l’arrivo dei feretri era stato salutato da un lungo, commosso applauso dalla folla assiepata all’esterno. Prima dell’inizio della messa, lontano dai riflettori, l’ordinario militare si reca a salutare i parenti delle vittime. Alle mamme, alle mogli e alle fidanzate distribuisce una coroncina del rosario. Saluta anche i familiari di Alessandro Di Lisio, il parà molisano morto in Afghanistan nel luglio scorso. Pelvi era andato a Campobasso a celebrare le esequie e non aveva perso i contatti con loro.Intanto cominciano ad affluire le autorità. Arrivano le più alte cariche istituzionali. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano accompagnato dal ministro della difesa Ignazio La Russa. I presidenti delle camere Renato Schifani e Gianfranco Fini. Il premier Silvio Berlusconi e il sottosegretario Gianni Letta. Il presidente della Corte costituzionale Francesco Amirante. Numerosi i ministri, i parlamentari, i leader di quasi tutti i raggruppamenti politici. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della regione Lazio Piero Marrazzo. A fianco dell’altare ci sono anche l’arcivescovo Francesco Monterisi, arciprete di San Paolo, e l’abate Edmund Power. Arrivano i feretri sorretti dai commilitoni della Folgore. La Basilica è piena di militari di tutte le forze armate, in attività o in pensione, di rappresentanti di associazioni combattentistiche con i loro labari, di tanti cittadini comuni.Inizia la liturgia. Con monsignor Pelvi concelebrano più di trenta sacerdoti. Ci sono i cappellani militari di stanza a Roma, quelli della Folgore, don Roseo Vittori e padre Vincenzo Puzone, e don Salvatore Nicotra, l’assistente spirituale delle truppe di stanza a Kabul. Il pro-vicario, monsignor Ugo Borlenghi, legge il telegramma inviato per l’occasione dal cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone a nome di Benedetto XVI. Il Papa invoca il sostegno divino per «quanti si impegnano ogni giorno a costruire nel mondo solidarietà, riconciliazione e pace» e invia «di cuore» a tutti i partecipanti alla liturgia la «confortatrice benedizione apostolica» senza dimenticare un «particolare pensiero per i militari feriti».Le letture sono quelle della liturgia del giorno. C’è la chiamata di Matteo, «il contabile» a cui Gesù dice «Seguimi...» e che subito «si alzò e lo seguì». A queste parole si ispira monsignor Pelvi per una omelia in cui non manca di ricordare, uno ad uno, ciascun caduto. Ripete i nomi di Antonio, Davide, Giandomenico, Massimiliano, Matteo, Roberto. Di ciascuno offre un breve ma intenso ricordo attinto dai colloqui avuti in questi giorni con i parenti, gli amici, i cappellani delle vittime (vedere i sei ritratti in alto, ndr). «Le missioni di pace – scandisce Pelvi – ci stanno aiutando a valutare da protagonisti il fenomeno della globalizzazione». E ribadisce «l’esigenza di una concreta e rinnovata attenzione a quella "responsabilità di proteggere", un principio divenuto ragione delle missioni di pace».Dopo l’offertorio accompagnato dalle armonie di Bach, inizia la liturgia eucaristica. Quando Pelvi inizia a recitare il Canone uno squillo di tromba comanda ai militari presenti in Basilica di mettersi sull’attenti. Gli anziani ex soldati alzano e inchinano i labari. Alla fine della consacrazione un secondo squillo ordina il riposo. Questi squilli, come lo struggente silenzio suonato alla fine della celebrazione, ricordano che di funerali di stato si tratta. Celebrati in una atmosfera di compostezza e di dolore manifestato in modo molto pudico. Unico momento di smarrimento quando, proprio durante lo scambio del segno della pace, un uomo si avvicina al leggio e davanti al microfono grida più volte «pace subito!». L’arcivescovo Pelvi intona subito l’Agnus Dei e il piccolo "fuori programma" scivola via. Terminata la liturgia Gianfranco Paglia, il parà rimasto ferito in Somalia nel 1993 recita la preghiera del paracadutista, con l’invocazione a San Michele. A fianco Martin, il figlio del capitano Antonio Fortunato con il basco cremisi in testa.
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