giovedì 25 ottobre 2018
Oltre 1.400 morti per lo tsunami, 5.000 dispersi. Caritas: «Noi restiamo». Il coordinatore a Sulawesi, Yohannes Baskoro: «Grandi difficoltà, ma sosteniamo tante famiglie»
A Palu regna il silenzio un mese dopo lo tsunami
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«Durante le prime due settimane del nostro intervento abbiamo dovuto affrontare grandi difficoltà per la mancanza di elettricità, di comunicazioni, di trasporti aerei necessari a far convergere sull’aerea colpita i soccorsi necessari attraverso l’aeroporto di Palu. La nostra esperienza e il sostegno della diocesi di Manado ci hanno però consentito di intervenire in tempi rapidi sul campo e di recuperare i dati necessari per un coordinamento più efficace con il governo e con altre organizzazioni non governative. Fino al 15 ottobre abbiamo sostenuto oltre 2.500 famiglie, in una quindicina di campi di accoglienza ». Così sintetizza i primi interventi cattolici per le popolazioni di Sulawesi centrale Yohannes Baskoro, coordinatore dei soccorsi Caritas nella diocesi di Manado. Rischia di essere presto dimenticata la tragedia provocata il 28 settembre da due terremoti, di cui uno di magnitudine 7.5 e da uno tsunami che ha raggiunto i sei metri d’altezza, devastando un’ampia area costiera senza che venisse lanciato un allarme specifico. Tuttavia, le testimonianze che continuano a giungere dalle aree colpite rendono l’idea di una tragedia che anche la Chiesa è impegnata a alleviare e ricordare. Se la conta definitiva delle vittime risente dei dispersi – 5.000, secondo alcune stime, ma non ci sono conferme ufficiali –, i morti accertati sono stati oltre 1.400, concentrati a Palu, una città di 350mila abitanti, vivace, dotata di uno scalo aeroportuale regionale, la cui vocazione turistica era incentivata anche dalle spiagge e dalle strutture di ospitalità sulla costa. Il sisma e l’onda anomala hanno messo in ginocchio la sua popolazione, accendendo tensioni e razzie che hanno costretto l’esercito a intervenire per garantire l’ordine. La Chiesa locale ha subito vittime e gravi danni, ma già nei giorni successivi al sisma e allo tsunami, i sacerdoti di Palu hanno allestito un Centro di crisi e una mensa dei poveri nelle parrocchie invase dal fango.

Rapida anche la mobilitazione della Caritas indonesiana (Karina) con il sostegno di quella internazionale a cui la Caritas italiana ha contribuito subito con 100mila euro. La solidarietà cattolica si è pure concretizzata nella donazione di 100mila dollari che papa Francesco ha voluto veicolare attraverso il dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. Come ha confermato all’agenzia Fides il vescovo di Manado, monsignor Benedictus Estephanus Rolly Untu che nei giorni scorsi ha visitato Palu ma anche aree di difficile accesso, «la Chiesa locale sta provvedendo ogni aiuto umanitario possibile per le persone sfollate a Sidera e Jonoogo» fornendo tende e kit di sopravvivenza. L’area di Jonoogo è stata particolarmente colpita dal fenomeno della «liquefazione del suolo» provocata dal terremoto che ha trasformato in fanghiglia e sabbie mobili vaste superfici.

«Le strade sono distrutte, le case inghiottite, le risaie improvvisamente sparite». Gli operatori Caritas hanno dovuto affrontare enormi difficoltà. «La Caritas nazionale sostiene le iniziative di emergenza della diocesi di Manado, la prima a rispondere all’emergenza dopo il terremoto e lo tsunami. Palu, inclusa nella diocesi di Manado è però più vicina a Makassar e di conseguenza la collaborazione tra noi e la Caritas di Makassar è stata essenziale», ricorda Baskoro. «In tempi rapidi per quanto consentito dalla situazione, abbiamo fornito aiuti essenziali per i senzatetto: cibo, generi essenziali, servizi medico-sanitari con il sostegno di medici volontari. Importante per noi anche l’assistenza psicologica ai bambini, in cooperazione con il Jesuit Refugee Service e congregazioni religiose».

Inevitabilmente oggi l’Indonesia si interroga sulle sue capacità di prevenzione e di intervento. Sull’insegnamento che si può trarre dalla tragedia di Sulawesi che ha sconvolto l’esistenza di oltre un milione di individui. «Nell’area non erano mancati segnali di un elevato rischio sismico per l’area colpita, come rilevato in documenti del 2012 e del 2017 – conclude Baskoro –. Di conseguenza, sembra indispensabile che governo e cittadinanza debbano condividere la stessa responsabilità nell’individuare e affrontare i rischi di eventi catastrofici».

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