mercoledì 9 settembre 2009
Condannati sei fondamentalisti indù, ma i mandanti sono ancora in libertà. Per alcuni religiosi la decisione è solo «fumo negli occhi» perché «il provvedimento non è proporzionato ai crimini commessi».
COMMENTA E CONDIVIDI
Per i leader ecclesiali dell’Orissa, «u­na sentenza che rafforza il nostro im­pegno », ma per altre voci della Chie­sa indiana, una decisione non adeguata al­l’entità dell’aggressione subita dai cristia­ni in quelle terribili giornate di un anno fa. « Fumo negli occhi » definisce la sentenza padre Anand Muttungal, portavoce del Consiglio dei vescovi cattolici dello Stato del Madhya Pradesh. «Un provvedimento preconfezionato che non è proporzionati ai crimini commessi. L’insufficienza di prove addotta per condanne tanto miti e anche per le assoluzioni, sembra indicare la vo­lontà di salvaguardare i veri colpevoli». La sentenza con cui a Phul­bani, uno dei due tribunali appositamente costituiti nello Stato orientale indiano di O­rissa ha con­dannato il 7 settembre con un procedi­mento per di­rettissima a quattro anni di carcere e a una multa equivalente a circa 25 euro ciascuno sei estremisti indù, arriva ancora una vol­ta troppo tardi ed è alla fine poco punitiva. Certamente non esemplare per soddisfare la sete di giustizia di quanti hanno subito le violenze settarie scatenate il 23 agosto 2008 dall’uccisione – la cui responsabilità era stata fatta ricadere sui cristiani – di Swa­mi Laxmananda Saraswati, tra i responsa­bili delle tensioni che da tempo scuotono le aree a maggioranza tribale e dalit dello Stato. Ancora una volta, i sei estremisti, parte di un gruppo di 11provenienti dallo stesso vil­laggio del distretto di Kandhamal, finiti sot­to processo e gli unici condannati, sono sta­ti accusati di «rivolta e incendio». Restano così ancora ignoti organizzatori e mandanti della persecuzione anticristiana che portò all’uccisione di almeno 90 persone, alla di­struzione di migliaia di case e di diversi e­difici religiosi, alla fuga di 50mila cristiani, di cui ancora oggi a migliaia sono ospitati in campi profughi. Restano altresì al mo­mento impuniti assassini, torturatori e stu­pratori. La polizia ha aperto indagini su 831 persone ma, come sottolinea la Chiesa lo­cale, ha finora investigato su 310 casi e di questi 84 sono stati rinviati a giudizio. Ven­titre i processati finora, nove le condanne. Un numero limitato di processi e condan­ne miti che, tuttavia, come suggerisce an­cora una volta l’arcivescovo di Cuttack­Bhubaneshwar, monsignor Raphael Chee­nath in un’intervista a Uca News , « hanno rafforzato il morale della nostra gente». In particolare, le ultime condanne vanno con­vincendo i cristiani che « la giustizia è fi­nalmente a portata di mano». Dello stesso parere, ma con un’esortazio­ne alla cautela, è anche padre Ajay Singh, attivo tra le vittime dei disordini che ricor­da come i cristiani locali abbiano, in una si­tuazione potenzialmente esplosiva come quella del Kandhamal e di altri distretti del­l’Orissa, con una pace garantita dalla con­sistente presenza delle forze dell’ordine, «molte altre sfide da affrontare». Ma la paura resta. Avvocati cristiani e atti­visti sociali confermano che i testimoni so­no sempre meno disponibili ad apparire pubblicamente, a causa delle minacce di morte.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: