giovedì 21 novembre 2013
​Sul tavolo le scorte di uranio arricchito, il reattore ad acqua pesante di Arak, i patrimoni iraniani bloccati dalle sanzioni Londra: le distanze non sono insormontabili.
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​Chi si illudeva bastasse tornare a Ginevra per riavvicinare le posizioni sul nucleare iraniano ha dovuto ricredersi ieri, giornata di avvio dei nuovi colloqui tra i rappresentanti di Teheran e il gruppo dei 5+1 (i cinque Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania). L’intesa è sì sempre possibile, un’intesa che avrebbe una portata epocale, ma l’ottimismo che si respirava fino a due giorni fa è andato scemando già ieri mattina. Quando mancavano poche ore alla ripresa dei lavori, la Guida suprema del regime, Ali Khamenei, ha infatti ribadito che Teheran «non arretrerà di un centimetro» dai suoi diritti nucleari e ha fatto sapere che, pur non intervenendo direttamente, ha già definito «le linee rosse» per i suoi negoziatori. Una doccia fredda su chi vorrebbe l’accordo.

Khamenei ha anche attaccato la Francia, il Paese ritenuto responsabile dello stop alla precedente intesa giudicata troppo favorevole a Teheran: «Non è solo succube degli Stati Uniti – ha detto – ma si è anche inginocchiata davanti al regime israeliano». Poi ha aggiunto che l’Iran «colpirà sul volto i suoi aggressori con una violenza tale che non se lo dimenticheranno». Ed è tornato ad attaccare Israele, «il regime sionista destinato a crollare». Pronta la replica della Francia, già sostenitrice della linea dura nel negoziato con la Repubblica islamica. La portavoce del governo, Najat Vallaud-Belkacem, ha avvertito che «le parole di Khamenei sono inaccettabili e complicano i negoziati». «Servono risposte, non provocazioni», ha chiosato il presidente François Hollande.

Nel pomeriggio c’è stata una prima riunione di coordinamento dei 5+1, seguita da un incontro bilaterale tra il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, e il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, incontro definito «positivo» dalla Ashton. Successivamente è partita la prima sessione plenaria di trattative, durata però meno di 10 minuti, certo non un segnale incoraggiante, anche se poi si è proseguito con una serie di incontri bilaterali. Sul tavolo dei negoziati restano le scorte di uranio arricchito al 20%, il reattore ad acqua pesante di Arak, le centrifughe di ultima generazione, i patrimoni iraniani bloccati dalle sanzioni che colpiscono l’export di petrolio e il commercio di metalli preziosi. Secondo un alto funzionario dell’amministrazione Obama, sarà «molto difficile» raggiungere un’intesa già questa settimana, anche perché l’allentamento delle sanzioni offerta a Teheran è «abbastanza limitato».

Il recente avvicinamento tra Occidente e Teheran non ha precedenti nell’ultimo decennio, ma le differenze rimangono: di fatto il negoziato sta entrando in una fase estremamente difficile, quella dei dettagli più tecnici. Negli incontri di due settimane fa, quando l’accordo sembrava così vicino che all’improvviso sono piombati a Ginevra tutti i ministri degli Esteri del 5+1, l’intesa è sfumata sull’insistenza iraniana a vedere riconosciuto il suo diritto ad arricchire l’uranio, e sul mancato accordo sul reattore ad acqua pesante di Arak che, una volta operativo, potrebbe produrre plutonio per la bomba atomica.

Ieri i colloqui si sono svolti a livello di alti funzionari, ma nella città svizzera circolava voce di un possibile arrivo dei ministri degli Esteri. Il capo della diplomazia britannica, William Hague, ha ribadito ieri che i negoziati sul nucleare iraniano rappresentano una «opportunità storica» ed ha commentato che «è ancora presto» per sbilanciarsi sullo stato delle trattative. «Le differenze che ancora esistono tra le parti non sono insormontabili, e ritengo che potranno essere ridotte da una chiara volontà politica», ha spiegato il ministro degli Esteri britannico. Con l’Iran «è necessario andare con i piedi di piombo. Noi lavoriamo perché prevalga la speranza» che l’apertura del nuovo presidente Hassan Rohani sia »vincente, reale e stabile», ha detto da parte sua il premier italiano Enrico Letta.

Il presidente Usa Barack Obama spinge per un’intesa, dalla quale riceverebbe un’iniezione di credibilità. Washington continua nel suo tentativo di rassicurare Israele, ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu, dopo una precedente tappa a Parigi, è volato ieri a Mosca per far pressing sul presidente russo, Vladimir Putin. Netanyahu ha esposto chiaramente il suo obiettivo: convincere la comunità internazionale della «inutilità» di un accordo dei Paesi del gruppo 5+1 con Teheran. Secondo il premier israeliano, la possibile attenuazione delle sanzioni economiche contro Teheran «non farà che spianare la strada alla fabbricazione della bomba atomica».

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