sabato 8 marzo 2014
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«Sono nata in un sistema che voleva farmi sentire un “mezzo essere umano” poiché ero nera. Non c’è riuscito grazie ai miei genitori. Sono stati loro ad insegnarmi che ogni individuo è completo in sé perché creato a immagine di Dio». Si sente fortunata Nontombi Naomi. E orgogliosa del cognome che porta: Tutu, quello del padre, l’arcivescovo anglicano Desmond, storico attivista anti-apartheid insieme all’amico Nelson Mandela. Ora la segregazione è finita. Tante sono, però, le sfide ancora da combattere per il Sudafrica. A partire dal pieno riconoscimento dei diritti femminili. «Il mio Paese ha una delle Costituzioni più garantiste del mondo in termini di uguaglianza donna-uomo. E in effetti, le donne sono ben rappresentate ai più alti vertici istituzionali. Una cosa però sono le parole, un’altra è la realtà. Per difendere i tuoi diritti devi conoscerli ed avere le risorse per farli valere. Nelle comunità rurali, le donne non le hanno», Tutu è impegnata proprio per dare voce a queste dimenticate. «Dobbiamo rendere concreta la promessa di un Sudafrica democratico. Soprattutto per i poveri. Democrazia significa uguaglianza di opportunità per tutti. In molti villaggi, i bambini neri non hanno banchi né libri né penne… Come facciamo a parlare di uguaglianza di opportunità, se neghiamo il diritto fondamentale, quello a un’educazione decente? Si perpetuano nella pratica le stesse disparità legalizzate dall’apartheid». Ci vorrebbe un nuovo Mandela? «Non è questo il punto: figure così grandi non nascono in ogni epoca. Non credo sia nemmeno necessario. Se non c’è ora un altro gigante come Nelson, ci sono però tanti giovani leader impegnati nei processi di riconciliazione, di sviluppo. Sono loro a rendere vivo, ogni giorno, il sogno di Madiba». Nontombi ha conosciuto bene il leader scomparso. «L’ho visto l’ultima volta tre anni fa, alla festa di compleanno di mio padre. Quando ha preso la parola la sua fragilità fisica si è dissolta. La cosa che mi colpiva di più di lui era la capacità di trattare tutti – presidenti, bimbi contadini – con la stessa attenzione. Non c’erano persone più importanti di altre: considerava ognuno degno della massima considerazione».
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