martedì 28 dicembre 2010
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Un gruppo islamico ha rivendicato gli attentati dei giorni di Natale in Nigeria, che hanno causato oltre 80 morti secondo gli ultimi bilanci, minacciando di proseguire con le violenze. Nel messaggio si afferma: "O nazioni del mondo, sappiate che gli attacchi di Suldaniyya (Jos) e Borno sono stati compiuti da noi, Jamàatu Ahlus-Sunnah LiddàAwati Wal Jihad, sotto la direzione di Abu Muhammad, Abubakar bin Muhammad  Shekau". Il nome del gruppo significa Popolo devoto agli insegnamenti del Profeta per la propagazione della Jihad, lo stesso nome che avevano annunciato di voler assumere gli integralisti islamici della setta Boko Haram, che lo scorso anno diedero vita a una sollevazione che provocò molte vittime. Gli attentati, secondo la rivendicazione "devono segnare l'inizio della vendetta dopo le atrocità commesse contro i musulmani nella regione e nell'intero paese", e si annuncia che la campagna continuerà.LA CRONACA«La situazione è sotto controllo». Lo ripe­tono di continuo le autorità nigeriane, come un leitmotiv. A Jos, il fumo delle case incendiate ha smesso di annerire il cielo. Gli spa­ri non interrompono più il silenzio. Le violenze si so­no arrestate. Almeno per il momen­to. L’ingombrante presenza – ad ogni angolo – di poliziotti antisommossa tradisce la tensione. Forte, evidente e palpabile. La paura si percepisce nei volti delle persone, nelle finestre sprangate delle case, nell’assenza – altrettanto ingombrante – di bambi­ni per strada. Ieri è stato il primo giorno di “tregua armata”, dopo 72 ore di conflitti, in cui sono state uccise – secondo l’ul­timo bilancio del governo – almeno 40 persone, in maggioranza cristiane. I feriti sono oltre un centinaio. Una strage. Che ha insanguinato le cele­brazioni natalizie nella regione del Plateau central, la “terra di mezzo” – così la chiamano – spartiacque tra le due Nigerie: quella musulmana e pa­storale del Nord, e quella cristiana, animista e agricola del Sud. Negli ul­timi dieci anni, i conflitti tra questi due mondi sono stati a volte feroci. Mai prima d’ora però c’era stato un attacco deliberato proprio in occa­sione di una festa religiosa tanto im­portante per una delle religioni mag­gioritarie. Stavolta, invece, i crimina­li hanno voluto colpire a Natale, uno dei momenti chiave della cristianità. La notte del 24 dicembre – mentre i fedeli facevano la tradizionale cena, qualche ore prima della Messa di mezzanotte – una raffica di bombe ha straziato i villaggi rurali e la stes­sa Jos. Almeno 32 persone sono sta­te uccise. Diverse decine sono, poi, morte nelle ore successive. L’atten­tato ha innescato una spirale violen­ta: bande di giovani musulmani e cri­stiani si sono scontrati per le strade. Alcune case sono state date alle fiam­me. Le celebrazioni religiose sono sal­tate e la gente si è barricata in casa. Il giorno dopo, il 25 dicembre, il grup­po integralista islamico Boko Haram ha assaltato due chiese a Maiduguri. A Santo Stefano ci sono stati nuovi tafferugli che hanno fatto una vitti­ma. Poi, fortunatamente, il massic­cio dispiegamento di forze dell’ordi­ne ha arrestato gli scontri. Nel Plateu central è tornata la calma. Il rischio di nuove esplosioni di aggressività è, però, alto. Ieri il Segretario generale dell’Onu Ban Ki­moon si è detto «costernato» per gli scontri «che han­no causato tante vittime innocenti». Una dura con­danna delle violenze è stata espressa anche dal mi­nistro degli Esteri italiano Frattini e dall’ambasciato­re italiano ad Abuja, Roberto Colaminè che ha in­contrato il ministro degli esteri nigeriano Henry O­dein Ajumogobia. Quest’ultimo gli ha assicurato l’im­pegno del suo governo a punire al più presto i colpe­voli e a garantire la libertà di fede. Un’affermazione ripetuta dallo stesso presidente Goodluck Jonathan. Le ragioni del “massacro di Natale” sono più di ma­trice economico-politica che religiosa. Da oltre un decennio, è in corso il conflitto latente tra i pastori no­madi del Nord e i contadini del Sud per l’uso delle terre. La tensione si fa più for­te quanto minore è la disponibilità di ri­sorse. A questo, si è aggiunge ora l’immi­nente designazione del prossimo candi­dato alla presidenza del partito principa­le, il Pdb. Un accordo informale prevede l’alternanza tra esponenti settentrionali e meridionali. Jonathan è del Sud ed è su­bentrato come leader alla morte del pre­cedente capo di Stato, Umaru Yar’dua, del Nord. L’attuale presidente vorrebbe, dun­que, ripresentarsi. Una frangia el Pdb pre­ferirebbe al suo posto, il settentrionale A­tiku Abubakar. Il 13 gennaio si svolgeran­no le primarie. Il voto è, invece, previsto ad aprile. È probabile, dunque, che il mix di tensioni economiche-politiche­religiose (usate queste ultime in forma strumentale) possa sfociare in nuove ten­sioni. Lucia Capuzzi
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