giovedì 3 dicembre 2009
Il Nord del Paese da 24 mesi nella morsa dello scontro tra i 7 cartelli della cocaina, che combattono tra loro per assicurarsi il mercato interno e l’export verso l’America, e del conflitto tra forze dell’ordine e criminali spietati. Varate norme ancora più severe
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Da mesi, ormai, sui giorna­li messicani c’è uno spa­zio fisso. Un riquadro, po­sto in genere nella prima pagina delle cronache nazionali, in cui sono contenute due cifre: la pri­ma indica gli omicidi compiuti il giorno precedente, la seconda quelli messi a segno dall’inizio dell’anno. A fine 2008, quest’ulti­mo numero ha raggiunto le 5.630 unità. Tante sono le vittime, per il solo anno trascorso, della 'narco­guerra' – come viene chiamata – che da 24 mesi dilania il Paese. E soprattutto il Nord, lungo la fron­tiera con gli Stati Uniti. In realtà, sarebbe più corretto par­lare di 'narcoguerre'. Perché in Messico è in corso un duplice con­flitto. Da una parte, si combatto­no governo e organizzazioni cri­minali; dall’altra, queste ultime si fronteggiano fra loro in uno scontro sem­pre più cruento. La causa scatenante è stata – secondo la versione comune – l’offensiva organiz­zata dal presidente Calderon, dalla sua elezione nel 2006, contro i cartelli della droga. Il fenomeno, però, è più complesso. Perché il traffico di stupefacenti nel Paese esiste da decenni. Mai prima d’ora, però, s’era verificata una simile ondata di violenza. Nel 2007, le vittime dei 'narcos' sono state 2.700, l’anno scorso so­no raddoppiate. In particolare, sempre più civili – estranei alle bande – vengono uccisi dai traffi­canti. Che si accaniscono sulla po­polazione inerme: si apre il fuoco nei bar, nei ristoranti, perfino ne­gli ospedali. A Natale, a nord ove­st di Chihuahua, un commando ha fatto irruzione in un sanatorio per rapire due feriti, reduci da u­no sparatoria fra gang. Teste moz­zate e cadaveri mutilati vengono lasciati in bella mostra, per inti­midire. Negli ultimi giorni, ne so­no stati trovati undici, di cui otto a Tijuana. Il 2008 sarà quindi ricordato come el año negro del Messico: in no­vembre sono state assassinate 943 persone, un record senza prece­denti nella storia nazionale. La ra­gione starebbe in un cambia­mento strutturale del mercato della droga. Fino a poco tempo fa, il flusso era orientato verso l’este­ro, in particolare gli Stati Uniti. Il Messico è da sempre la principa­le 'via d’accesso' all’America del­la droga prodotta nel Sud del Con­tinente: di qui arriva il 90% della cocaina consumata negli States. A gestire il lucroso commercio – stime non ufficiali del governo U­sa parlano di un giro d’affari di 14 miliardi di dollari – sono stati, dal­la fine degli anni Novanta, sette gruppi criminali: Tijuana, Juarez, Colima, Golfo, Oaxaca, Sinaloa e Valencia. Diventati più forti dopo lo smantellamento dei cartelli co­lombiani di Cali e Medellin, si e­rano spartiti il territorio naziona­le in altrettante aree di influenza, all’interno delle quali controlla­vano le rotte internazionali. Il 'patto tra famiglie' aveva garan­tito un’apparente stabilità. La vio­lenza veniva esercitata 'con di­screzione', per non attirare lo sguardo del governo o di Wa­shington. L’irrigidimento degli Usa – decisi ad arginare l’ingresso nel Paese dei corrieri – e la politica di 'tolle­ranza zero' di Calderon hanno re­so la frontiera 'poco permeabile'. Con perdite considerevoli per i cartelli. I maxisequestri di droga e gli arresti eccellenti – ultimo quel­lo di Javier Diaz Roman, capo del cartello del Golfo – hanno inferto duri colpi alle 'famiglie'. Produ­cendo, però, un effetto perverso: i gruppi criminali hanno deciso di puntare sul mercato interno. Le tienditas – negozi clandestini di stupefacenti – si sono moltiplica­te. Nella sola Tijuana, da sempre crocevia di traffici illeciti, se ne contano 20mila. Il controllo di ampie parti del territorio è diven­tato fondamentale: più zone si 'amministrano', maggiori sono i guadagni. Le 'famiglie' hanno co­sì cominciato a combattersi tra lo­ro strada per strada, per conqui­stare i i tanti micro-mercati loca­li. Questo spiega l’escalation di violenza degli ultimi mesi. Non solo: per portare avanti i propri traffici, i narcos cercano di pene­trare nel tessuto delle città, sot­traendo allo Stato la legittima au­torità. I massacri plateali sono un modo per dimostrare il loro potere e sot­tomettere gli abitanti con il piom­bo dei proiettili. Il risultato è ag­ghiacciante: nel Paese c’è un o­micidio ogni 90 minuti. L’intera popolazione si sente 'sotto mi­naccia'. Tanto che le parrocchie di Ciudad Juarez hanno dovuto an­ticipare al pomeriggio la Messa della notte di Natale: molti anzia­ni avevano infatti paura di uscire di casa a tarda ora. Perfino un fun­zionario statunitense – Felix Bati­sta –, giunto nel Paese per elabo­rare una strategia 'anti sequestri', è stato rapito due settimane fa a Saltillo. Il terrore, però, sta producendo, a sua volta, esiti imprevisti. Il fatto di dover fare i conti quotidiana­mente con il narcotraffico sta spingendo la società messicana a ribellarsi. Sempre più persone partecipano alle manifestazioni – organizzate dalle ong locali – per dire basta alla violenza. Nell’ulti­mo discorso, il presidente ha ri­badito il suo impegno contro i gruppi criminali. Forte anche dell’aiuto degli Usa, che hanno stanziato, con il Plan Merida, un maxifinanziamento di 1.400 mi­lioni di dollari per sostenere il Paese nella lotta alla droga. La pri­ma tranche – 155 milioni – è ar­rivata il 4 dicembre. Il problema fondamentale resta, però, il con­trasto della corruzio­ne che dilaga tra le forze dell’ordine. Il mese scorso, vari fun­zionari della Procura generale e il capo del-­l’Interpol Ricardo Gu­tierrez Vargas sono stati arrestati per pre­sunti legami coi nar­cos. Di recente, è sta­to incarcerato l’alto ufficiale del­l’esercito Arturo Gonzales Rodri­guez, sospettato di essere nel li­bro- paga dei fratelli Beltran Ley­ra, boss di Sinaloa. Calderon, indignato, ha promul­gato ieri una legge che stabilisce sanzioni ancora più severe per i funzionari infedeli, permette un miglior coordinamento tra poli­zia ed esercito e istituisce nuovi servizi per il sostegno alle vittime e ai loro familiari. Intanto, però, la guerra nelle strade continua. E le cifre nei riquadri dei giornali mes­sicani, giorno dopo giorno, cre­scono.
INTERVISTA«Corruzione e impunità i due veri mali»«Il governo s’illude di poter sconfiggere i narcos coi fucili, sparando nel mucchio. Così finisce con il mancare il bersaglio: i vertici delle organizzazioni criminali». È sicuro Guillermo Zepeda Lecuona, docente del Centro di Investigacion para el Desarrollo (Cidac) di Città del Messico: la "mano dura" di Calderon non ha dato i risultati sperati. Il massiccio dispiegamento dell’esercito - finora sono stati schierati 45mila uomini - non ha indebolito le bande criminali. Professore, si può parlare di un tentativo dei narcos di impossessarsi di pezzi del Paese?Certo. Da quando i trafficanti hanno dovuto ripiegare sul mercato locale si è assistito a un "decentramento della violenza". Lo spaccio interno richiede meno organizzazione e disciplina rispetto all’export. I grandi cartelli hanno ceduto spazio a gruppuscoli più piccoli e meno organizzati che realizzano fra loro alleanze instabili. Il risultato è la guerra di tutti contro tutti. Ci sono, inoltre, ampie aree del Paese dove l’intera economia, anche quella legale, dipende dal commercio di stupefacenti. Qui i narcos esercitano un potere parallelo a quello dello Stato: impongono il pizzo ai commercianti e costringono i contadini a coltivare droga. Chi non si piega viene ucciso o è costretto ad andarsene. Come si è arrivati a questo punto?Ad affollare le carceri sono solo i "pesci piccoli". Dei 15mila condannati per droga, l’87% sono consumatori o spacciatori improvvisati.Come mai i vertici delle bande criminali restano liberi?Le autorità hanno puntato molto sull’uso della forza. Senza, però, rafforzare in modo adeguato l’unica arma davvero efficace contro il narcotraffico: le sezioni investigative specializzate della polizia. Al contrario, i narcos fanno attacchi mirati: uccidono i migliori magistrati e i vertici delle forze dell’ordine.Calderon, però, ha iniziato ad usare l’esercito contro i narcos a causa della corruzione presente nella polizia...Il presidente ha chiamato in causa l’esercito, ammettendo di fatto che i 370mila poliziotti non sono affidabili. Parallelamente, non c’è stata però un’azione volta a estirpare la corruzione. Che resta uno dei due maggiori problemi del Paese.Qual è l’altro?L’impunità. Senza quest’ultima non sarebbe comprensibile il proliferare del narcotraffico come industria. In Messico, la probabilità che un criminale finisca di fronte al giudice è di appena l’1,7%. Come reagisce la gente all’ondata di violenza?Nel Nord, c’è stato a lungo il culto dei narcos. Un famoso trafficante, Malverde, è diventato una sorta di "santo popolare". Ora, però, qualcosa sta cambiando. La gente è stanca di sangue e violenza.
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