giovedì 17 dicembre 2009
La Giunta militare concede alla Nobel, ai domiciliari, di incontrare i vertici dell'opposizione. Intervista all'inviato della Ue.
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In un’altra mossa destinata insieme a riaccendere le speranza di una virata in senso democratico e a soddisfare le pressioni internazionali, ieri la giunta militare che governa il Myanmar ha permesso alla leader dell’opposizione Aug San Suu Kyi di dialogare con i membri anziani del Comitato centrale esecutivo della Lega nazionale per la democrazia. L’incontro, il primo dal gennaio 2008, si è tenuto nella piccola residenza governativa abitualmente utilizzata per gli incontri tra la signora, Premio Nobel per la Pace 1991, e personalità locali o straniere. Quello di ieri era stato richiesto un mese fa dalla stessa signora Suu Kyi con una lettera inviata al capo del regime, generale Than Shwe. I tre leader del partito, il presidente Aung Shwe, 92anni; l’85enne segretario U Lwin e l’82enne Lun Tin, tutti di salute malferma, hanno dato il loro “via libera” allo svecchiamento del partito. Una necessità per potere contrastare con energie nuove i candidati proposti o appoggiati dai militari nelle elezioni del prossimo anno se sarà accolta la richiesta della comunità internazionale di farvi partecipare a pieno titolo l’opposizione e se questa scioglierà i dubbi sulla sua partecipazione. «Abbiamo sentito dai nostri leader anziani che Aung San Suu Kyi ha espresso la necessità di una riorganizzazione del Comitato centrale esecutivo (di cui fa parte) della Lega – ha detto il portavoce del partito, Khin Maung Swe –. Le è stato risposto che sono assolutamente d’accordo». D’altra parte, dalla nascita del partito questo è stato soggetto di un forte invecchiamento, a tal punto che nel Comitato centrale esecutivo solo due membri – Suu Kyi, 64 anni, e Khin Maung Swe, 67 – hanno meno di 80 anni. Un’operazione di ringiovanimento che, se andrà in porto, vedrà opportunità e incognite affiancate per un movimento di cui Aung San Suu Kyi è leader carismatica dal 1988 e che sotto la sua guida è arrivato alla vittoria schiacciante, anche se mai riconosciuta, nelle elezioni del 1990. (S. V.) FASSINO: IL REGIME SEMBRA CAPIRE CHE E' UTILE DIALOGARE di Giovanni Grasso «Per la prima volta, dopo due anni, sembrano aprirsi spiragli nel muro del Myanmar. La comunità internazionale deve puntare a far sì che le elezioni del 2010 rappresentino l’inizio di una fase positiva per il Paese e per la regione». Piero Fassino, esponente del Pd e inviato speciale dell’Ue per il Myanmar, intravede delle luci nella situazione del tormentato Paese asiatico. E, in questa intervista, spiega: «Tutti gli attori, dall’Onu, ai Paesi asiatici, agli Stati Uniti, all’Ue si stanno muovendo per raggiungere questo obiettivo. E anche la giunta militare sembra finalmente capire che è utile dialogare».Onorevole Fassino, qualcosa si muove, dunque?Stiamo ai fatti: a luglio c’è stato il viaggio in Myanmar del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che è stato il primo significativo incontro dopo anni di muro contro muro. E, dopo 15 anni, il primo ministro birmano si è recato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Contemporaneamente gli Stati Uniti, con la presidenza Obama, hanno reso esplicito un nuovo atteggiamento verso la Birmania che, significativamente hanno smesso di chiamare Burma, adottando la dizione di Myanmar. Washington si è resa conto che le sanzioni da sole non bastano e che, accanto a esse, bisogna sviluppare una strategia per il dialogo. Si spiegano così importanti visite di alti diplomatici americani in Myanmar, le dichiarazioni della Clinton e la scelta di Obama di partecipare al vertice Asean a cui era presente anche il primo ministro birmano La situazione interna dà segni di miglioramento?C’è stata la decisione coraggiosa di Aung San Suu Kyi di rivolgersi direttamente alla giunta militare con due lettere indirizzate al generale Than Shwee, con le quali la leader dell’opposizione ha offerto la disponibilità a cooperare con le autorità in vista delle elezioni per migliorare la situazione interna, anche al fine di superare le sanzioni. Si sono dunque ripresi i contatti, che erano interrotti da molto tempo. E la decisione di ieri del governo di consentire alla leader dell’opposizione di incontrare i dirigenti del suo partito mi sembra un altro segno di una situazione in movimento.Insomma, inizia il disgelo?È quello che tutti speriamo. E debbo aggiungere che questo clima interno meno teso ha consentito anche ai Paesi asiatici, la cui influenza è decisiva, di avere un ruolo più assertivo e determinato nei confronti del governo birmano. Qual è stato il ruolo dell’Ue in questo periodo?Credo che l’Unione abbia contribuito in modo decisivo per favorire questo nuovo scenario, sviluppando una forte azione nei confronti del Myanmar. L’Europa è stata in primissima fila per sostenere la popolazione civile birmana dopo il terribile ciclone Nargis del maggio del 2008; ha promosso programmi specifici di aiuto su istruzione, sanità, infanzia, acqua potabile, agricoltura. E inoltre l’Ue ha intensificato la cooperazione con l’Asean e i Paesi asiatici e ha promosso il dialogo con la società civile birmana. E in questi ultimi mesi si sono intensificati anche i contatti con le autorità birmane.Cosa ci si aspetta adesso dal governo del Myanmar in vista delle elezioni?Il nostro impegno è di arrivare a convincere le autorità ad accettare tre punti: la liberazione di Aung San Suu Kyi degli altri prigionieri politici; il dialogo vero tra giunta, opposizione e minoranze etniche; e infine il varo di una legge elettorale che assicuri effettiva parità di diritti per tutti i candidati e tutti i partiti partecipanti alle elezioni, in modo che le elezioni siano credibili e la comunità internazionale possa riconoscerle. Una inchiesta di «Avvenire» ha messo in luce il fatto che nonostante l’embargo, c’è chi continua a fare affari d’oro con il Myanmar...La denuncia è fondata. Bisogna però prendere atto che le sanzioni funzionano solo se vengono assunte da tutta la comunità internazionale. In questo caso le attuano solo i Paesi occidentali, ma non quelli asiatici: e l’80 per cento dei rapporti economici del Myanmar è verso i vicini dell’Asia. Le sanzioni da sole non bastano, serve anche un’azione politica di pressione, di persuasione e di dialogo, per far sì che le prossime elezioni diventino davvero l’inizio di un cammino verso la democrazia e la pacificazione nazionale.
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