venerdì 18 novembre 2022
Tra le persone scarcerate anche l’ex ambasciatrice britannica con il marito birmano, un regista giapponese e il consigliere australiano di Aung San Suu Kyi
Un bus lascia il carcere con alcuni dei prigionieri politici liberati dal regime

Un bus lascia il carcere con alcuni dei prigionieri politici liberati dal regime - Ansa

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In occasione della festa nazionale che ha ricordato il giorno in cui nel 1920 gli studenti avviarono la campagna contro i colonizzatori britannici, ieri la giunta al potere in Myanmar (ex Birmania) che proprio tra gli studenti universitari ha gli oppositori più determinati, ha dichiarato un’amnistia che ha scarcerato oltre 5.700 detenuti.

Tra questi diversi prigionieri politici, incluso il portavoce Myo Nyunt e un ministro della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, messo al bando, con molti dei suoi esponenti agli arresti o che in clandestinità hanno aderito al Governo di unità nazionale che si oppone al regime militare.

Scarcerati anche Ko Mya Aye, tra i leader del movimento studentesco dell’88, la cui repressione convinse Aung San Suu Kyi a prendere la guida del movimento democratico non violento, lo scrittore satirico e accademico Maung Tha Cho e il monaco buddhista Shwe Nyawa Sayadaw, oppositore dichiarato del regime.

Rimessi in libertà ed espulsi anche autorevoli “ospiti” stranieri delle celle del carcere di Insein, noto per la detenzione dei prigionieri politici: l’economista australiano Sean Turnell, consigliere di Aung San Suu Kyi; l’ex ambasciatrice britannica Vicky Bowman con il marito, l’artista birmano Ko Htein Lin; il regista giapponese Toru Kubota, che aveva filmato le proteste di piazza contro il regime. Scarcerato ieri anche il cittadino statunitense di origine birmana Kyaw Htay Oo.

Se è tradizione che in occasione di ricorrenze significative si attuino provvedimenti di amnistia, quello di ieri è giunto in un tempo in cui la giunta al potere dal primo febbraio 2021 si trova sottoposta a forti pressioni. A confermarlo è anche il segretario aggiunto dell’Associazione per l’assistenza dei prigionieri politici in Birmania (Aapp) che ha parlato di «un vecchio espediente».

Da qualche tempo, infatti, il regime non è più soltanto nel mirino delle democrazie occidentali o delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, ma è sottoposto in modo crescente alle critiche e alle richieste dei partner regionali di mettere fine alle violenze e a ripristinare un percorso democratico. Secondo l’Aapp, sarebbero 52 i detenuti contrari al regime rilasciati ieri dalle carceri di Yangon, Bago e Mandalay. La stessa associazione ha registrato finora 16.232 arresti dal golpe di 21 mesi fa guidato dal generale Min Aung Hlain, di cui almeno 8.000 resterebbero in cella.

I morti nella repressione sarebbero 2.400, inclusi i 16 civili uccisi mercoledì da colpi di artiglieria sparati contro villaggi negli Stati Rakhine e Kayah. Colpito anche un asilo, dove sono morti tre bambini.

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