
Agenti all'entrata della fattoria di Estanzuela nello Stato messicano di Jalisco - Ansa
Sparse e accumulate alla rinfusa, sul pavimento del capanno, ci sono centinaia di scarpe, magliette, mazzi di chiavi, catenine, elenchi con centinaia di nomi di vittime e sequestrati. Lo chiamavano lo “spogliatoio”, il luogo dove i corpi venivano svestiti prima di essere gettati nei tre crematori adiacenti. La macchina della morte funzionava a ritmo serrato a giudicare dalla quantità di resti umani semi-inceneriti trovati all’interno dei forni. A fermarla non sono state le autorità bensì uno dei tanti gruppi di familiari degli scomparsi della narco-guerra – Guerreros buscadores – che, grazie a una segnalazione anonima, è arrivato alla fattoria La Estanzuela di Techiutlán, nello Stato messicano del Jalisco. E là ha scoperto, a poco più di un’ora dalla capitale, Guadalajara e dagli impianti per la produzione di tequila, un vero e proprio “campo di sterminio” impiegato dai narcos per far sparire – in senso letterale – nemici reali o presunti. Le immagini, pubblicate dagli attivisti di Guerreros buscadores, hanno scatenato uno scandalo nazionale. Tanto da costringere la presidente, Claudia Scheinbaum, a parlarne nella conferenza stampa mattutina del lunedì, in cui ha promesso di fare piena luce sulla vicenda.
A indignare l’opinione pubblica il fatto che la tenuta di oltre mezzo ettaro fosse ben visibile e molto frequentata. Più volte erano stati segnalati movimenti sospetti di camion, giovani e uomini armati. Il via vai era continuo. Oltre al “mattatoio” – come numerosi superstiti hanno raccontato dopo la notizia della scoperta –, i narcos vi avevano allestito anche un centro di reclutamento. Forzato, in realtà. Adolescenti e ragazzi erano attirati con false inserzioni di lavoro diffuse su Internet e alle fermate di bus e treni. Una volta arrivati, però, presi in ostaggio e costretti a un feroce addestramento. Chi era ritenuto troppo debole, si lamentava o cercava di rifiutarsi era subito eliminato. Il resto era arruolato come carne da cannone nell’esercito criminale. Dopo l’ennesima chiamata, a settembre, la Procura di Jalisco si era decisa a perquisire la fattoria. Gli agenti si erano imbattuti in due ragazzi tenuti prigionieri e li aveva liberati. Avevano anche visto le centinaia di resti umani, le fosse scavate sul terreno, i depositi di armi e munizioni e l’avevano riportato nel rapporto. Niente, però, era stato fatto fino all’irruzione dei Guerreros buscadores, madri, padri, fratelli, mogli, figli degli ormai più di 120mila desaparecidos di 19 anni di conflitto tra Stato e cartelli della droga. O, meglio, di conflitto fra differenti gruppi di cartelli che si battono fra loro con il supporto di interi pezzi di istituzioni, previamente catturati. Questo spiega perché, proclami a parte, anche in base alle ultime rilevazioni, 98 delitti su cento restino impuniti. A “gestire” il campo di La Estanzuela era il gruppo di Jalisco nueva generación che controlla il corridoio tra Guadalajara e Puerto Vallarta. Una delle principali rotte pacifiche per l’esportazione di coca – il core business delle organizzazioni messicane e latinoamericane –, eroina, metanfetamine e Fentanyl. E per questo centrale per il cartello di Jalisco, la più potente multinazionale del crimine a livello globale insieme al gruppo rivale per l’egemonia, la mafia di Sinaloa.
La nuova Amministrazione Usa ha appena inserito entrambi – con altri quattro gruppi messicani, la salvadoregna M19 e al venezuelano Tren de Aragua – nella lista delle formazioni terroristiche. Il che darebbe la possibilità a Washington di intervenire oltreconfine per affrontarli. Come la narco-guerra insegna, però, retorica a parte, le operazioni militari e muscolari sono poco efficaci nel contrastare il crimine. Il punto cruciale è tagliare il circuito di riciclaggio e i rifornimenti di armi. Ma queste ultime continuano ad arrivare, per il 74 per cento, proprio dal vicino del Nord