Il settimo incontro, le telefonate, il caso droni: su Kiev si resta in alto mare
di Elena Molinari, New York
Cronaca di ventiquattr'ore frenetiche, dopo l'esito interlocutorio dell'ennesimo vertice a Mar-a-Lago tra Trump e Zelensky. Sullo sfondo resta il filo diretto tra Casa Bianca e Cremlino, mentre il racconto di un attacco a lungo raggio dell'Ucraina contro una residenza di Putin riporta il gelo sulla trattativa

Un incontro «fantastico», stando a Donald Trump. Ma dietro l’entusiasmo ostentato dal presidente degli Stati Uniti, il vertice di domenica pomeriggio a Mar-a-Lago con Volodymyr Zelensky lascia aperti nodi pesanti, mentre attorno ai colloqui continua a muoversi una diplomazia frenetica, scandita da telefonate con Vladimir Putin e da un nuovo scontro verbale tra Kiev e Mosca.
Trump ha definito il settimo faccia a faccia che ha avuto con il presidente ucraino quest’anno «straordinario» e «molto produttivo», parlando di progressi concreti verso la fine della guerra. Subito dopo, però, ha precisato di non avere «una scadenza» per arrivare a un accordo. L’obiettivo, ha spiegato ai giornalisti, è chiudere il conflitto «il prima possibile», ipotizzando che, se il percorso prenderà la direzione giusta, il risultato potrebbe arrivare «in un paio di settimane». Zelensky, che si muoveva da un piede all’altro al suo fianco, con un’espressione a disagio, ha ribadito che l’Ucraina «è pronta alla pace», ma ha ricordato che senza garanzie di sicurezza credibili qualsiasi intesa sarebbe fragile.
L’ormai inevitabile telefonata con Vladimir Putin che ha preceduto, come sempre, la sessione bilaterale con il leader di Kiev non ha portato il capo della Casa Bianca a imporre nuove condizioni a Zelensky o inasprire i toni, come ha fatto più volte in precedenza. Ma sulla questione più difficile di tutte – il territorio – Trump ha suggerito che potrebbe comunque essere «preso» nei prossimi mesi, chiedendo: «Non è meglio fare un accordo adesso?». La frase richiama in modo inquietante quella pronunciata dal consigliere del Cremlino Yuri Ushakov: «Considerata la situazione sul fronte, avrebbe senso che il regime ucraino adottasse senza indugio questa decisione riguardo al Donbass».
Nonostante l’incognita sull’atteggiamento russo Trump ha indicato l’intenzione di continuare il lavoro diplomatico, mettendo da parte il disimpegno ventilato nelle ultime settimane e coinvolgendo maggiormente il Vecchio continente. Ieri mattina c’è stata una «buona chiamata» con Putin, ha affermato il leader Usa, ma «abbiamo alcune questioni spinose». «Abbiamo un paio di cose da risolvere». Né il colloquio telefonico di domenica tra il leader di Washington e di Mosca, né una seconda telefonata avvenuta ieri, hanno però chiarito se Putin sia disposto a prendere in considerazione il piano di pace messo a punto dagli Usa con Kiev, che Zelensky ha definito una vera e propria roadmap per le prossime settimane.
Il prossimo passo per Zelensky sarà dunque un incontro a livello di consiglieri per la sicurezza nazionale, che dovrebbe tenersi in Ucraina con la partecipazione di funzionari americani ed europei. Subito dopo è previsto a Parigi, all’inizio di gennaio, un vertice in un formato allargato che includerà tutti i Paesi della Coalizione dei volenterosi. Il presidente francese Emmanuel Macron ha spiegato che l’incontro servirà a definire i contributi concreti di ciascun Paese sulle garanzie di sicurezza. Zelensky e gli alleati torneranno poi negli Stati Uniti per un nuovo confronto con Trump. «Siamo tutti seriamente impegnati a fare in modo che questi incontri si svolgano a gennaio», ha sottolineato il presidente ucraino.
Più incerto resta il canale diretto con Mosca. Il Cremlino ha smentito indiscrezioni su una possibile telefonata tra Putin e Zelensky, affermando che al momento «non è in considerazione». Kiev ha replicato che, se il percorso procederà «passo dopo passo», un contatto diretto con i russi sarà inevitabile, «in un modo o nell’altro». Sullo sfondo rimangono i continui bombardamenti russi di obiettivi civili ucraini e anche un duro botta e risposta sul presunto attacco di droni ucraini contro la residenza presidenziale russa nella regione di Novgorod. Secondo il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov, la notte scorsa Kiev avrebbe lanciato 91 droni a lungo raggio contro la tenuta di Putin, e Mosca avrebbe già deciso «tempi e obiettivi della rappresaglia». L’Ucraina respinge le accuse, mentre la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha parlato di «menzogne» sistematiche da parte di Zelensky.
«Non mi è piaciuto l’attacco ucraino» ha detto Trump ai giornalisti: «Me lo ha detto Putin, mi sono arrabbiato» ha aggiunto il tycoon sottolineando che non è il momento di attaccare la casa di Putin. «Una cosa è essere all'offensiva, un'altra cosa è attaccare la sua casa. Non va bene, non è il momento giusto», ha spiegato Trump. A chi gli chiedeva se ci fossero prove sull’attacco, che l’Ucraina nega, Trump ha risposto: «usciranno fuori. Dite che l’attacco potrebbe non esserci stato? È possibile». Nonostante i sorrisi a Mar-a-lago e i toni ottimistici della Casa Bianca, la strada verso un accordo è ancora lunga e tutt’altro che lineare.
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