martedì 4 novembre 2008
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Il giubbotto slacciato sopra una camicia a scacchi, microfono nella mano sinistra. Il palco di Peterborough non gli deve essere mai parso così ospitale, come una seconda casa. Il New Hampshire d'altronde evoca solo bei ricordi al candidato repubblicano. Per questo John McCain ha scelto un tuffo nel passato per lanciare l'affondo, l'ultimo, verso il futuro. Per una sera il senatore dell'Arizona è tornato il «maverick» del 2000, il cane sciolto del partito repubblicano, l'uomo delle missioni impossibili: quello che tiene insieme destra e sinistra al Senato, che dialoga con i nemici e sferza gli amici. Nel New Hampshire nel 2000 partì la sua scalata alla nomination del partito repubblicano, bruscamente interrotta poche settimane dopo in Sud Carolina dalla macchina da guerra e dai giochi sporchi di Karl Rove. Solo l'8 gennaio di quest'anno, vincendo le primarie nel Granite State, McCain ha ripreso il filo del discorso con la nomination. Da lì è stato un crescendo.E l'altra sera, fra la «sua» gente di Peterborough, repubblicani difficili da mettere in fila, da tenere in riga dietro il pensiero dominante dei conservatori del Sud e del Midwest, McCain ha stracciato i fogli dello «stump speech». Ha scansato il «teleprompter» e ha affrontato invece a viso aperto le domande della gente: immigrazione e Iraq, temi che sono stati schiacciati dalla crisi economica, dal salvataggio delle banche. Le risposte precedute dal suo motto, «lasciatemi dire qualche parola chiara» («Straight talk»). Ieri nell'ultimo tour de force il senatore è apparso tranquillo ma determinato. I sondaggi offrono qualche appiglio, il sogno di una rimonta che da impossibile, qualche giorno fa, ora sembra possibile. Rick Davis, direttore della campagna elettorale, dice che in alcuni Stati in bilico ora il vento è per McCain. Che ieri a Filadelfia, così come domenica in New Hampshire, è apparso diverso. Rilassato, pronto a scherzare anche con i media. È sempre stato il prediletto dei giornalisti di Washington per la sua disponibilità. Nella campagna per le primarie sul pullman non c'era barriera fra lui e loro, i reporter che avevano pieno accesso alle informazioni. Poi è cambiato tutto da quando Steve Schmidt, discepolo di Karl Rove, ha preso il comando della strategia: presenze sui media centellinate, conferenze stampa zero. Il senatore che accusa la stampa di considerarlo un fiasco, finito, e di flirtare con Obama. Negli ultimi due giorni invece McCain lungo le centinaia di miglia percorse con il suo bus ha parlato e raccontato barzellette e aneddoti. Con lui tutta la squadra. Tutti i consiglieri più stretti lo hanno raggiunto nell'ultimo sforzo. Fra loro il senatore Joe Lieberman, il democratico diventato indipendente, che John avrebbe voluto come vice. L'ala destra del partito gli recapitò il messaggio che era meglio non scegliesse un abortista come «running mate». Spuntò Sarah Palin. «Scelta azzeccata " dice ad Avvenire Diana Banister, consulente del Gop " perché prima del suo arrivo molti conservatori non se la sentivano proprio di votare McCain». A seguire come un'ombra McCain, sul pullman, sul palco, nella hall degli alberghi c'è Lindsey Graham, senatore del Sud Carolina, occhi vispi e battuta sempre pronta. L'uomo che Cindy McCain ormai presenta sul palco come il «migliore amico di John». «Siamo come una rock band», ha detto Graham al New York Times. McCain ha cambiato i toni, ha alleggerito la sua immagine. Dice ancora che Obama «sta misurando le tende» alla Casa Bianca. Ma lo dice sorridendo, non con la rabbia dei giorni scorsi di chi si sente defraudato delle possibilità di vincere. Ieri è tornato a leggere lo «stump speech», ma con grinta e un sorriso. A Filadelfia ha ricordato che lui «non manderebbe in onda un informercial durante le World series». Il riferimento è al mega spot tv di 30 minuti che Obama ha fatto trasmettere mercoledì scorso in concomitanza con le finali di baseball. La sua corsa rimane in salita. Malgrado i numeri comincino in parte a sorridergli e i sondaggi a dipingere un divario meno netto con Obama. Diane Banister crede che McCain ce la possa fare a colmare il divario: «Vediamo chi va a votare, quanti andranno. E se nevica? Se piove? Se i giovani stanno a casa? I sondaggi volano dalla finestra». L'ennesimo cambio di umore e di strategia tuttavia non nasconde i limiti e gli errori di questa campagna. Obama ha travolto il rivale sul piano economico: ha raccolto molti più soldi e li ha potuti spendere in spot Tv. Ma a fare la differenza è il «grassroot», la base. Obama ha costruito un network fortissimo; e ha potuto spendere molto di più per pagare lo staff mandato sul territorio. McCain ha pagato 22 milioni di dollari, Obama ha superato i 30. Rich Beeson, direttore politico del partito repubblicano, smentisce problemi: la macchina elettorale viaggia a 8 cilindri. Ormai siamo all'ultimo giro.
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