giovedì 27 maggio 2010
Obama sempre più nervoso: «Chiudete quel buco». Attese per oggi le nuove norme sulle trivellazioni. Domani la seconda visita del presidente sul luogo del disastro.
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L’operazione “top kill” è cominciata. L’ultimo tentativo intrapreso dai tecnici della British Petroleum di arginare la marea di petrolio che dallo scorso 20 aprile sta invadendo il Golfo del Messico è stato avviato ieri nella serata italiana, il primo pomeriggio sulla costa orientale Usa. Intanto Barack Obama ha perso la pazienza nei confronti del gigante petrolifero britannico, intimandogli di «tappare quel maledetto buco».Il presidente Usa sta perdendo consensi fra gli elettori americani (a pochi mesi dalle elezioni politiche di metà mandato) anche a causa del modo in cui ha gestito il disastro ambientale nel Golfo, e i suoi collaboratori temono che si trasformi in una sconfitta politica, come Katrina lo fu per George W. Bush. Per questo domani Obama visiterà di nuovo la Louisiana per valutare i danni e seguire le operazioni per bloccare la falla. E a breve la Casa Bianca annuncerà requisiti di sicurezza più stringenti per le trivellazioni petrolifere off-shore che includeranno un rafforzamento delle ispezioni sugli impianti di perforazione e garanzie per la sicurezza degli impianti di contenimento.Entro domani si dovrebbe sapere se “top kill” ha funzionato.L’espediente, rivelatosi efficace in altre situazioni, non è mai stato adottato a una profondità di 1.500 metri, e presenta per questo varie incognite. Ieri navi cisterna e vascelli di comando in corrispondenza del pozzo hanno cominciato a pompare 50mila barili di fango ad alta pressione verso la falla. Poco lontano, due piattaforme di trivellazione proseguivano nello scavo del pozzo secondario: un piano alternativo sul quale la Bp non vuole contare troppo, perché nella migliore delle ipotesi il nuovo pozzo non intercetterà quello danneggiato prima di agosto. Un motore da 30mila cavalli installato a bordo della maxi nave Hos Centerline sta dunque sparando fanghi viscosi al ritmo di 50 barili al minuto verso il vascello di comando Q4000, che li convoglia tramite una serie di tubi flessibili, verso il “blowout preventer”, il dispositivo di bloccaggio della perdita il cui cattivo funzionamento è stato all’origine del disastro.La speranza dei tecnici è che la maggior parte del fango arrivi davvero all’interno del dispositivo, raggiungendo così la sommità del pozzo e provocando al suo interno il crollo della pressione. Il passo successivo sarà quello di tappare il pozzo mediante un’iniezione di cemento. Il rischio dell’operazione è che l’iniezione di fango possa danneggiare ulteriormente il “blowout preventer”. Per l’amministratore delegato del gruppo petrolifero, Tony Hayward, le possibilità di successo sono «intorno al 60-70%». Hayward ha anche dichiarato che l’incidente «fu dovuto a una serie di problemi tecnici» tra cui un guasto che per tre volte bloccò il “blowout preventer”. Ma un documento della Bp citato ieri dalla sottocommissione parlamentare che sta indagando sul dramma indica che 5 ore prima dell’esplosione della piattaforma c’erano chiari segnali che una delle valvole del pozzo stava perdendo. Intanto ieri un oleodotto della Bp in Alaska è stato chiuso per una perdita di greggio.
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