martedì 12 aprile 2022
Una teatrale umiliazione sul campo. Che vista da parte russa potremmo chiamare: l’onore perduto dell’Armata Rossa. Solo che la Krasnaja Armija, quella che nel 1921 ebbe come primo commissario...
L'onore perduto dell'Armata Rossa e quelle armi che alimentano l'escalation
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Una teatrale umiliazione sul campo. Che vista da parte russa potremmo chiamare: l’onore perduto dell’Armata Rossa. Solo che la Krasnaja Armija, quella che nel 1921 ebbe come primo commissario Lev Trockij, quella che nella Grande guerra patriottica (così i russi chiamano la Seconda guerra mondiale) ebbe Stalin come primo comandante e geniali condottieri come il maresciallo Žukov, quella che liberò Berlino nel 1945 e piantò la bandiera sul tetto del Reichstag, da molti anni non esiste più.

Al suo posto, un esercito che ha rivelato nella criminale invasione dell’Ucraina tutti i propri limiti, esibendo da un lato l’impreparazione e la disorganizzazione dell’alto comando e dell’intelligence e dall’altro l’inutile perversa crudeltà di un’armata senza onore, capace di rivalersi più sui deboli che sugli avversari, di siglare sul missile lanciato sulla stazione di Kramatorsk quel «per i bambini» che sembra oltrepassare la banalità del male di Hannah Arendt. Dietro di sé il mito dell’Armata Rossa lascia oggi una scia di sangue e di vergogna. Fra meno di un mese, il 9 maggio, si celebrerà in Russia la ricorrenza della vittoria di Stalin sul nazismo.

Putin ha cementato la sua popolarità su almeno un paio di miti fondativi: quello della Terza Roma (il Patriarcato di Mosca come erede nobile della cristianità che è stretto alleato del Cremlino) e quello del nazionalismo, di cui la vittoria e la supremazia militare sono il cemento. Dal principe di Novgord Alekandr Nevskij che nel tredicesimo secolo sbarrò la strada agli svedesi e poi ai cavalieri teutonici al generale Michail Kutusov che fermò la Grande Armée di Napoleone, l’Unione Sovietica prima e la Russia oggi vivono tuttora all’ombra del mito dell’invincibilità di Mosca.

Ed è qui che il pericolo di un’escalation nel confronto fra la Nato e la Russia si fa sempre più reale. Non solo perché il continuo afflusso di armi in soccorso di Zelensky non fa altro che provocare da parte russa una risposta uguale e contraria, ma anche – come abbiamo appena detto – perché per Putin è prioritario ripristinare il mito di un’armata invincibile, che nessuna potenza mondiale può pensare di fermare. Per ora, secondo alcune stime occidentali la guerra in Ucraina sarebbe già costata alla Russia più di quella in Afghanistan. Lo stesso portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha ammesso «perdite significative di soldati». Nel celare il proprio imbarazzo, Putin forniva un segnale più che trasparente con la nomina del generale Aleksandr Dvornikov a comandante unico delle operazioni militari in Ucraina. Una scelta non casuale.

Dvornikov, sessantenne, già capo del corpo di spedizione russo in Siria, è noto per la tecnica che predilige: il «modello Grozny», ovvero quei massicci e indiscriminati bombardamenti che nelle due guerre cecene spianarono completamente la città. Nel palmarès di Dvonirkov campeggiano i bombardamenti a tappeto senza distinzione fra civili e combattenti ad Aleppo e nel Kurdistan, che in patria gli sono valsi il titolo di Eroe della Russia. Un «eroe», appunto. Che ora Putin schiera sul campo come il jolly in una partita di calcio che si sta perdendo. La strategia del pluridecorato generale non è nota.

Ma è presumibile che muoverà le sue forze fra il Donbass e la Crimea, chiudendo il cerchio fra Kharkiv e Mariupol, in modo da assicurarsi un bottino tangibile in termini di territori «denazificati» (la propaganda russa li definisce così). Un bottino da poter mostrare nella ricorrenza patriottica del 9 maggio, offrendo ai russi qualcosa che assomigli a una vittoria sul campo. E pazienza se occorrerà una bassa macelleria di civili per aggiudicarsela. Sullo sfondo rimane – e qui la sconfitta è di tutti noi, non soltanto di Mosca – la crescita progressiva da parte di tutte le forze in campo dell’impiego di armi sempre più sofisticate e letali, sempre meno difensive, sempre più adatte a una guerra mondiale.

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