mercoledì 29 aprile 2009
In Messico 152 i morti, ma l’Organizzazione della sanità ridimensiona le cifre: non va abbassata la guardia. Negli Stati Uniti 68 i casi e «due decessi sospetti» a Los Angeles
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Gli unici forse a ralle­grarsi in Messico so­no i venditori di “ta­pabocas”, le mascherine an­ti- contagio, indossate ovun­que. Chiusi per precauzione nella capitale ristoranti e al­cuni uffici governativi; ri­mandati i campionati nazio­nali di nuoto come alcuni in­contri di calcio, limitate pure le celebrazioni religiose an­che se il ministro del lavoro Lozano ha affermato peren­torio: «L’attività economica deve continuare» escluden­do il fermo delle attività pro­duttive. Intanto contro la “gri­pe porcina” la popolazione ha fatto scorte di cibo e acqua, mentre le scuole resteranno chiuse fino al 6 maggio. E il Senato messicano ha deciso di riunirsi a porte chiuse fino a data da destinarsi consen­tendo l’accesso al palazzo go­vernativo solo ai senatori e al personale indispensabile ma dopo un severo controllo me­dico. Intanto i morti sono tre in più rispetto a lunedì: 152 in tutto il bilancio «probabile» del mi­nistro della Sanità, José Angel Cordova, che ha osservato come l’epidemia potrebbe essere in decrescita: 6 deces­si sabato, 5 domenica e 3 lu­nedì. Intanto fra i media mes­sicani si rincorrono le ipote­si su quale sia stato il focolaio delle infezioni: un alleva­mento di maiali nello Stato sudorientale di Veracruz che il 2 aprile avrebbe infettato a Perote un bambino di 4 anni, poi guarito. Il governatore di Veracruz, Fidel Herrera, ha però dichiarato che l’influen­za dei suini «ha origine in A­sia, probabilmente in Cina». Undici giorni dopo il caso ze­ro: il 13 aprile, si verificava la prima morte accertata per febbre suina: Adela Maria Gutierrez Cruz, 39 anni, de­ceduta nello stato di Oaxaca, a sud di Città del Messico. La donna, si è poi appreso, era un’impiegata del censimento che raccoglieva dati porta a porta, entrando in contatto con moltissime persone. Ieri l’Organizzazione mon­diale della Sanità, che lunedì aveva alzato il livello di aller­ta da 3 a 4 (su una scala di sei), ha precisato che il virus «non ha mostrato per ora alcuna resistenza ai due farmaci uti­lizzati per trattarlo», l’oselta­mivir e il zanamivir. Il porta­voce dell’Oms, Gregory Har­tl, ha chiesto di non cedere al­l’allarmismo e ai “rumors” anche se il rischio pandemia è reale. Le «restrizioni di viag­gio non funzionano» quando il virus può venire incubato per due o tre giorni e i sinto­mi più gravi appaiono non prima di cinque, tuttavia «è prudente che i governi dica­no ai cittadini di pensare due volte prima di recarsi in zone colpite», fanno sapere dal quartier generale dell’Oms. Nelle stesse ore la Casa Bian­ca, come anche il Foreign Of­fice di Londra, la Farnesina e le principali cancellerie del mondo, avevano invitato i propri cittadini a recarsi in Messico solo se strettamente necessario. Numerose azien­de giapponesi che operano in Messico, come Hitachi, Mit­subishi, Suzuki, Denso, han­no raccomandato ai familia­ri e ai loro dipendenti di ab­bandonare il Paese. Intanto per l’Organizzazione mondiale della sanità il con­tagio è giunto ufficialmente in altri due Paesi, sei in tutto, e il totale dei casi di contagio è salito dai 73 di lunedì a 79. Il Paese con il più alto nume­ro di contagi accertati sono gli Stati Uniti con 40 casi se­gnalati (lo stesso numero di lunedì), seguiti dal Messico (26 come ieri), il Canada (sempre a 6). Confermato dall’Oms che l’epidemia ha raggiunto ormai l’Europa: la Spagna con due casi – uno in più rispetto a lunedì – due nel Regno Unito che potrebbero essere le punte di un iceberg. Tre i casi in Nuova Zelanda. Ma l’Oms prende in conside­razione per le statistiche so­lo i casi ufficialmente notifi­cati e confermati da analisi di laboratorio. Ma i segnali di al­larme sono molti di più: se sempre in Messico i casi so­spetti sarebbero ben 1600, negli Usa secondo il Cdc (l’or­ganismo federale di control­lo sanitario) si è raggiunta la quota 68 e in serata “Fox News” ha denunciato le pri­me due vittime sospette a Los Angeles. Intanto in Europa si stanno facendo ulteriori ac­certamenti in Spagna (26 ca­si), in Svezia (5 casi), in Fran­cia (4 casi) mentre in Italia un allarme nel vicentino è rien­trato. Secondo la Commis­sione europea in 13 Stati del­l’Ue sono ancora presenti 70 casi sospetti e 18 sono quelli già risultati negativi. Due se­gnalazioni sono giunte pure da Israele dove l’emergenza è gestita dall’esercito, ma l’in­fluenza suina lambisce anche l’Asia: in Cina alcuni pazien­ti, sospettati di essere dei por­tatori sani, sono sotto stretta osservazione, mentre un ca­so è segnalato in Corea del Sud. Una pandemia non ine­vitabile, ha affermato Keiji Fukuda, vice-direttore gene­rale dell’Oms, tuttavia «l’in­fluenza si sviluppa in modi per noi imprevedibili». Per questo tutti i governi devono prepararsi al peggio, specie nelle nazioni più povere a ri­schio di «essere colpite in ma­niera sproporzionata».
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