giovedì 4 aprile 2019
Le forze dell'Esercito nazionale libico (Lna) del generale sarebbero entrate nella città di Gharian, a cento chilometri a sud della capitale. Guterres (Onu): la Libia non è un porto sicuro
Il generale Haftar a Mosca nel 2016 (Ansa)

Il generale Haftar a Mosca nel 2016 (Ansa)

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Uno, il generale Khalifa Haftar, «ordina» l’avanzata su Tripoli, con tanto di «liberazione» della capitale «senza spargimento di sangue». L’altro, il premier Fayez al-Sarraj, risponde autorizzando le milizie che rispondono al suo comando a bombardare le posizioni occupate a sud di Tripoli dal generale. Il tutto mentre le forze dell’Esercito nazionale libico (Lna) entrano – senza sparare un colpo – a Gharian. La “presa” della città, a circa cento chilometri a sud della capitale, prima tappa della ventilata “marcia su Tripoli”, sarebbe avvenuta «pacificamente». Addirittura, secondo la propaganda dell’Esercito nazionale libico, i “liberatori” sarebbero stati accolti «con scene di giubilo» da parte della popolazione.

Siamo a un passo dalla resa dei conti definitiva, preceduta da un’escalation di minacce e contro minacce senza precedenti? O si tratta, invece, soltanto dell’ennesima prova muscolare in un Paese che fatica a ricomporre il puzzle impazzito delle tribù e delle milizie in un “volto” unitario? Una cosa è certa: i contendenti mostrano i denti. Haftar, nei giorni scorsi, ha lanciato «una campagna per bonificare l’ovest del Paese dalla presenza di milizie criminali». Il Consiglio presidenziale, di cui è capo il premier Sarraj, ha risposto bollando le dichiarazione del generale «come annunci provocatori». Non solo. Le milizie di Zintan e Misurata si sono dette pronte a respingere «l’avanzata maledetta» di Haftar.


I gruppi di Misurata hanno fatto sapere di avere chiesto a Sarraj di dare «i suoi ordini senza indugio ai comandanti delle forze nell’ovest di affrontare questo ribelle. Se si asterrà dal farlo immediatamente farà sorgere il dubbio e sarà sospettato di complicità con le forze di Haftar». Da parte sua, il ministero degli Interni del governo di concordia nazionale ha dichiarato lo stato d’emergenza nella capitale. «Il rischio di una nuova guerra civile – dicono fonti locali – è forte». E quella di Haftar «come pacificatore» sarebbe solo «una maschera» che nasconderebbe giochi di potere.

Tre giorni fa il sito «Libya security studies», aveva anticipato che l’esercito dell’uomo forte della Cirenaica avrebbe fatto ingresso nella capitale da sud, proprio ciò che sta accadendo con la presa di Garian, 100 km a sud di Tripoli. La luce verde per Haftar è arrivata, sostiene una fonte diplomatica anonima citata dal «Libya security studies», da Parigi al termine di «una riunione sulla sicurezza tenuta a Bengasi in un centro di operazioni militari sotto il comando francese».

In questo contento esplosivo, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres sta provando a tessere la sua tela diplomatica. Oggi ha incontrato, a Tripoli, Sarraj. Venerdì vedrà, a Bengasi, il generale. Un tentativo (disperato?) per salvare il summit in programma dal 14 al 16 aprile a Ghadames, nel sudovest del Paese. «Non ci può essere una conferenza nazionale in queste circostanze», ha detto Guterres. Poche ore prima il segretario generale aveva visitato una prigione governativa per migranti. «Sono scioccato e addolarato», ha poi scritto sul suo profilo Twitter lasciando il centro di detenzione. «A questo punto – ha aggiunto riferendosi a chi, specialmente nel governo italiano, sostiene il contrario – nessuno può sostenere che la Libia sia un porto sicuro».

In una nota congiunta i governi di Francia, Italia, Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno espresso la loro "profonda preoccupazione per i combattimenti nei pressi di Garian, in Libia, ed esortano tutte le parti a ridurre immediatamente le tensioni che stanno ostacolando le prospettive di una mediazione politica dell'Onu".

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