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A Beirut guardie di sicurezza strappano un manifesto raffigurante Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah ucciso il 27 settembre 2024 da un raid israeliano sulla periferia della capitale libanese - Ansa
I droni israeliani hanno sorvolato a bassa quota i cieli di Beirut e della sua periferia sud mentre il governo libanese era riunito per discutere del «monopolio delle armi da parte dello Stato». Da settimane, la questione galvanizza il dibattito interno, ma è soprattutto considerata una priorità dagli emissari di turno americani e sauditi. Nel corso della sua ultima visita a Beirut, la vice inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Morgan Ortagus, ha esortato le autorità libanesi ad «agire più velocemente» nel disarmo di Hezbollah, avvertendo che in caso di «temporeggiamento» il Libano non vedrà arrivare gli aiuti economici destinati tra l'altro alla ricostruzione delle località distrutte da due mesi di guerra con Israele.
Con un gesto emblematico, Ortagos ha iniziato i suoi colloqui incontrando proprio Samir Geagea, leader del partito Forze libanesi (Fl) nonché capofila del campo ostile al partito sciita. Alla riunione del governo, il presidente Joseph Aoun ha invitato i quattro ministri delle Fl che reclamavano «un calendario di sei mesi» alla moderazione riprendendo i suoi propositi ormai noti. In sostanza, ha detto che la decisione riguardante il monopolio statale sulle armi «è stata presa» e che «la sua attuazione avverrà attraverso un dialogo bilaterale tra lui e Hezbollah, lontano da qualsiasi forma di ricorso alla forza». Il capo di Stato libanese ha fatto inoltre sapere che il partito sciita «è consapevole degli interessi del Libano» e «che le circostanze internazionali e regionali» contribuiscono al raggiungimento di questo obiettivo. In un parallelismo che non è stato gradito da Baghdad, Aoun ha anche affermato che «non ripeteremo l'esperienza delle Unità di mobilitazione popolare (in Iraq, ndr) assorbendo Hezbollah nell'esercito regolare, né sarà un'unità indipendente all'interno di questo esercito». «I combattenti di Hezbollah – ha precisato Aoun – potranno arruolarsi a titolo individuale e dopo un test di ammissione, come è stato fatto alla fine della guerra civile con diverse parti».
Secondo il quotidiano al-Akhbar, vicino a Hezbollah, l'approccio di Aoun «dimostra una comprensione degli equilibri interni, a differenza di altri che cercano di raggiungere questo obiettivo senza badare alle sue conseguenze catastrofiche». Il Partito di Dio che aveva evitato di scendere in polemica sull'argomento, ha alzato improvvisamente il tono. In un intervento trasmesso in tivù, il segretario generale Naim Qassim ha detto che il suo partito «si rifiuta di consegnare le sue armi allo Stato libanese», sottolineando che «stiamo offrendo una chance alla diplomazia, ma questo non durerà all'infinito». «Il partito - ha aggiunto - non permetterà a nessuno di disarmarlo e affronterà chiunque lo richieda» prima delle liberazione dei territori libanesi occupati e dell'adozione di una «strategia di difesa». L'attuale strategia adottata da Beirut e basata sulla «mediazione dei Paesi amici» non ha finora sortito alcun risultato positivo. Israele non solo continua a violare lo spazio aereo libanese, ma si rifiuta di ritirarsi da alcuni «punti strategici» nel Sud del Paese. Inoltre, sin dall'entrata in vigore, il 27 novembre scorso, del cessate il fuoco non si ferma lo stillicidio: 192 morti, di cui 71 sono civili secondo l'Onu, e 486 feriti. Fino a che punto la questione “disarmo” sia poi prioritaria per i libanesi è discutibile. Da un sondaggio condotto da Information International il punto risulta al quarto posto – con il 12 per cento di rispondenti – dopo il risanamento della situazione economica, la lotta alla corruzione e il recupero dei conti correnti bloccati dalle banche.
Impotente di fronte al risiko che mette al centro la questione del nucleare tra Usa e Iran, il piccolo Paese dei cedri si ripiega su questioni più modiche. Le autorità municipali di Beirut hanno così iniziato a rimuovere le bandiere e insegne partigiane disseminate lungo la strada che collega la capitale all'aeroporto internazionale. Obiettivo dichiarato è quello di trasformare Beirut in «una città senza slogan confessionali e partigiani». La capitale libanese, come tutto il Paese, si prepara intanto alle elezioni amministrative previste a maggio. L'appuntamento è solitamente lasciato alle alleanze ibride delle liste civiche, ma tutto lascia prevedere che i partiti politici di qualsiasi orientamento coglieranno l'occasione per confermare il loro peso elettorale.