lunedì 1 aprile 2024
L'Akp, dopo l'annuncio del prossimo addio del reis, nelle amministrative sembra iniziare una lenta discesa a favore della nuova opposizione. E tra quattro anni c'è il voto decisivo delle presidenziali
Il simbolo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (in turco Adalet ve Kalkınma Partisi - AKP)

Il simbolo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (in turco Adalet ve Kalkınma Partisi - AKP) - Web

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Qualcuno sostiene che abbia sbagliato i tempi dell’annuncio. Dire pubblicamente che lascerà la politica tra quattro anni, al termine del suo mandato come presidente, ha posto Recep Tayyip Erdogan in una posizione di “debolezza”, che con i dati di queste ore sembra riverberarsi già nel risultato del voto nelle grandi città. Dove la lampadina (simbolo dl suo Ak parti) sembra affievolirsi sempre più. Con una crisi interna al partito che ancora esprime comunque 317 dei 550 rappresentanti in Parlamento, come è verso che sovrapporre i risultati di un voto amministrativo a quello politrico è sempre sbagliato. Segnali, senza dubbio, ma univoci che vanno in direzione opposta alla progressiva ascesa del partito dal 2001 quando ha restaurato con il reis (abbandonato l’ultimo mandato di sindaco della città sul Borforo nel 1998) l’islam politico della democrazia conservatrice. Una ricetta di desecolarizzazione progressiva in senso contrario ai dettami dell’ateismo Costituzionale di Mustafa Kemal Atatürk.

Una ricetta, qualla dell'Akp di Erdogan, che negli ultimi anni ha prestato il fianco a crisi sempre più profonde nella società turca che ha fatto i conti con l’effimero sogno economico di un Paese che ora viaggia con un’inflazione a due cifre, che a febbraio ha toccato la preoccupante vetta del 67 per cento. A nulla sono servite e spinte anti-europee (seguite al freno imposto da Bruxelles all’avvicinamento di Ankara all’Unione), le minacce alla Nato della quale la Turchia fa parte, gli avvicinamenti repentini al dittatore di Mosca Vladimir Putin e la creazione di una terza via turca di mediazione nelle crisi regionali o da ultimo nella guerra ucraina e nelle questione dell’esportazione del grano. Fumo negli occhi, secondo la stessa opposizione che sta uscendo vincente e rafforzata da questo voto amministrativo. Apparenza, rispetto alla realtà di una crisi economica che morde e che fa aumentare la fascia degli scontenti che un tempo “accendevano” la Lampadina del reis. L’altra accusa che muove la critica turca di aver annunciato il progressivo allontanamento dalla scena politica senza la scelta chiara di un successore. L’ultimo esempio della fine del suo “tocco magico” la contrapposizione all’immarcescibile Ekrem Imamoglu di un candidato debole e “straniero (visto che arriva da Ankara) come Murat Kurum. Qualcuso vede già il ritorno dello spirito di Ataturk, altri semplicemente il risultati di una politica economica scellerata ammantata di ideali islamici a cui la gente turca non sembra dare più molto credito. Di fatto Erdogan sta pian piano spegnendo quella lampadina accesa un quarto di secolo fa da lui stesso come “faro” della politica tra l’Asia e l’Europa.

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