giovedì 14 ottobre 2010
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«Sono stato con Dio e con il diavolo. Hanno litigato per avermi. Dio ha vinto, io ho preso la sua mano, la migliore. Non ha mai vacillato la mia certezza che Dio mi avrebbe tirato fuori». Ha trascorso 69 giorni a 700 metri di profondità, eppure a Mario Sepulveda non sono mai mancati il coraggio, la fede e il buonumore, che ha condiviso con tutti gli altri, aiutandoli a sorridere anche nei momenti più duri. Fin dall’inizio della drammatica vicenda, i media hanno sottolineato le sue straordinarie doti di comunicatore: era sempre lui – elettricista di 39 anni – l’“anchorman” dei video registrati dai 33, nelle viscere della miniera di San José. Era lui che provava a scherzare nonostante le difficoltà, la depressione in agguato e i rischi dell’operazione di salvataggio. Lui – finalmente fuori dal pozzo e dall’incubo – ieri ha chiesto alla stampa: «Per favore, non trattatemi né come un animatore né come un giornalista, ma solo come un minatore». Libero, Sepulveda ha ringraziato: «Ho sempre avuto fede nei professionisti cileni e nel Creatore». Parole di profonda gratitudine sono andate anche ai medici e agli psicologi, «che ci hanno ridato la vita. A 700 metri e senza guardarci in faccia, ci hanno permesso di recuperare». «Sono orgoglioso del governo che abbiamo oggi e della gente che vi lavora», ha detto a fianco del presidente Sebastian Piñera, che ha abbracciato per tre volte con entusiasmo. Ma di fronte alle telecamere – ancora una volta rapite dalla forza di questo umile minatore – ha colto l’occasione per lanciare un messaggio all’industria mineraria: «Penso che questo Paese debba comprendere una volta per tutte che si possono fare dei cambiamenti nel mondo del lavoro: ne devono essere fatti molti. Noi, minatori, non ci fermeremo qui».Non hanno mai perso la fede, i genitori, i fratelli, i figli, le spose dei 33 minatori che hanno trascorso oltre due mesi all’accampamento “Esperanza”. Riabbracciarli ha scatenato un fiume di emozioni, lacrime, allegria. «Mi sembra che sia passato un anno», confessava la madre di Juan Illanes, 52 anni, il terzo minatore portato in salvo dalla capsula Fenix 2. Cha appena riemerso ha detto: «Il viaggio verso la superficie della libertà? Una crociera». «Benedizioni, benedizioni per tutti», singhiozzava il trentenne Osman Araya, abbracciando la moglie. La vita dei 33 minatori e dei loro familiari – sospesa ad un filo dal 5 agosto – ha ripreso a scorrere. Lo dimostrano i progetti, i sogni, i desideri. Mentre era in fondo alla miniera Claudio Yanez Lagos, 34 anni, ha ricevuto una proposta di matrimonio dalla sua compagna di sempre, Cristina, con cui ha due figlie. «Lui si è sempre voluto sposare, ma lei non accettava», ha raccontato la zia del minatore, Marta. Tutto è cambiato, dopo l’incidente: «Ora la festa è già pronta». Il loro matrimonio è una delle tante storie a lieto fine che questa drammatica vicenda ha trascinato con sé. «Non dimenticherò mai il rumore delle macchine scavatrici che ci cercavano: era il suono della vita», aveva scritto Alex Vega, 31 anni, in una delle sue lettere dalla pancia della miniera. Una volta in superficie, ha baciato sua moglie per due lunghissimi minuti. L’incubo è finito, ma prima o poi i 33 minatori dovranno cercare una nuova occupazione. «Non gli permetterò mai di  ritornare a lavorare in una miniera», ha assicurato la moglie di Vega. Sepulveda sorride: «La vita mi ha trattato duramente, ma ho imparato».
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