giovedì 3 agosto 2023
Giustizia negata per le vittime nel terzo anniversario della doppia esplosione che, il 4 agosto 2020, ha devastato lo scalo marittimo e un terzo della loro capitale. Rabbia in Libano
Un'immagine del porto di Beirut

Un'immagine del porto di Beirut - REUTERS

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Giustizia negata per le vittime del porto di Beirut. Nel terzo anniversario della doppia esplosione che, il 4 agosto 2020, ha devastato un terzo della loro capitale, i libanesi rimangono in attesa di una verità che molti sembrano non volere. Domani a Beirut ci sarà un raduno popolare organizzato dai comitati dei parenti delle vittime per ricordare le 246 persone uccise in quella che è stata classificata tra le dieci più potenti deflagrazioni non nucleari della storia. Nell'esplosione ci sono stati più di 6.500 feriti, molti dei quali menomati a vita, mentre 330mila persone hanno dovuto abbandonare temporaneamente le loro abitazioni.

In una dichiarazione comune rilasciata martedì, 15 ambasciatori di stanza a Beirut hanno esortato le autorità libanesi ad accelerare l'inchiesta, esprimendo la loro preoccupazione circa «l'ostruzione permanente» della verità. Ma diventa sempre più chiaro, a distanza di tre anni, che l 'inchiesta locale condotta dal giudice Tareq Bitar rimarrà ostacolata da oltre 25 richieste di ricusazione presentate da ex ministri e deputati libanesi. Questi ultimi sarebbero stati, secondo il giudice, al corrente dello stoccaggio illegale, per sette anni e senza precauzioni, di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio in un hangar del porto, situato a poche centinaia di metri dal centro cittadino. Anzi, l'oligarchia politica al potere diventa sempre più determinata a insabbiare per sempre la verità.

Lo scorso gennaio, quando Bitar ha cercato attraverso un'interpretazione giuridica di aggirare gli ostacoli frapposti alla sua inchiesta per convocare alti esponenti delle sicurezza e della pubblica amministrazione, il procuratore generale – lui stesso tra gli indagati – ha accusato il giudice di «usurpazione di potere» ordinando il rilascio immediato di tutte e 17 le persone arrestate in relazione all'inchiesta. I palazzi di Gemmayze e di Mar Mikhail (San Michele), tra i quartieri maggiormente devastati dall'esplosione, sono stati per lo più restaurati grazie a delle iniziative private e all'impegno profuso da tante Ong, locali e non. Lavori di più vasto respiro sono stati invece necessari per i palazzi storici, come è avvenuto per il Museo Sursock, riaperto lo scorso maggio grazie a fondi dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e di altri enti statali.

Nella zona salta agli occhi la proliferazione delle gallerie d'arte nei tradizionali palazzi ad arco triplo. In un Paese piegato dalla crisi economica e dall'inflazione, numerosi libanesi si danno da fare per impedire che l'arte e la cultura possano diventare degli “optional”. Rania Hammoud, proprietaria di Art Scene, dice che la gente ha tanta voglia di vivere nonostante le attuali difficoltà e guarda alla cultura come a una forma di resilienza. Motivo per il quale lei ha deciso di riservare uno spazio della sua galleria alla consultazione gratuita di libri d'arte. «Mi hanno dato del matto quando ho deciso, alcuni mesi fa, di aprire questa galleria», dice il suo collega Charbel Lahoud, proprietario di Chaos Art. Grazie a iniziative di questo tipo, afferma, «Beirut non morirà mai».

«Molti comprano i quadri come forma sicura di investimento data la sfiducia nei confronti delle banche libanesi». Insieme alla Banca centrale, il cartello delle banche è percepito dai libanesi come il responsabile della peggiore crisi economica nella storia del Paese a causa delle restrizioni imposte dall'ottobre 2019 ai prelievi in dollari. Tre giorni fa è terminata la lunga era Riad Salame alla guida della Banca centrale, dopo 30 anni ininterrotti. Si temeva che l'uscita di scena di Salame, senza la designazione di un successore, portasse a un'ulteriore svalutazione della lira libanese nei confronti del dollaro, specie dopo che i suoi quattro vice avevano minacciato in un primo momento le dimissioni. Rischio schivato, almeno per ora, ma si vedrà se il cambio si manterrà agli attuali livelli una volta che i numerosi espatriati libanesi venuti a trascorrere la stagione estiva in Libano saranno ripartiti.

La carica vacante di governatore si aggiunge a quella di presidente della Repubblica, vacante da fine ottobre, con i deputati libanesi che sono stati incapaci in oltre nove mesi di eleggere un successore di Michel Aoun a causa dei veti incrociati dei partiti.


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