lunedì 30 giugno 2014
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Maria è seduta su una panchina della stazione degli autobus di Tucson, in Arizona, con gli occhi semichiusi. Appoggiati a lei, uno per lato, un bimbo piccolo e una bambina più grandicella, sui dieci anni. Ogni tanto Maria apre gli occhi e si guarda attorno. Non sa dove passeranno la notte. Non sa che cosa le capiterà nelle prossime settimane. Ma sa una cosa: non tornerà in Guatemala. «Mio fratello è stato ucciso dalle gang due anni fa – racconta – e dopo che mio marito mi ha lasciata le gang mi hanno minacciata di portarmi via con loro». Quando il padre dei suoi figli se n’è andato, Maria, a 28 anni, ha cominciato a risparmiare i 7mila dollari per pagare il “coyote”, il contrabbandiere. Ci ha messo un anno. Un po’ in prestito, la maggior parte da sua sorella, che vive illegalmente a Baltimora. Un mese fa è partita, con quello che aveva addosso e qualche cambio in due borse di plastica. In piedi per ore su autobus affollati, senza acqua e senza cibo. Ammucchiati in container insieme a decine di altre persone, per lo più uomini. E la paura, la costante paura. «Più per loro che per me», aggiunge, indicando i figli. In Messico, ha dato tutti i soldi che le erano rimasti a un uomo che aveva messo le mani addosso a sua figlia. Alle porte di Monterrey non hanno mangiato per due giorni, finché le suore non li hanno soccorsi. Finalmente, al confine con Texas, Maria si è consegnata alla “migra”, la polizia di frontiera. Gli agenti l’hanno mandata al centro di detenzione di Nogales, dove è rimasta per una settimana. Lì Maria è riuscita a chiamare sua sorella. Poi è arrivato il rilascio, in attesa di una decisione del tribunale. In mattinata li hanno portati alla stazione dell’autobus, ma Maria non ha i soldi per il biglietto né per mangiare. «I bambini non ce la fanno più», dice. Pochi minuti dopo, un volontario le offre della minestra e dei cracker. Questa sera può fermarsi al centro di accoglienza della diocesi di Tucson. Maria sorride. Non sa se rifarebbe tutto da capo, dice. «Ma spero che i miei figli possano dimenticare, andare a scuola negli Stati Uniti. Almeno non cresceranno in Guatemala».
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