sabato 15 ottobre 2022
Chi controlla Kherson e i porti in acque profonde del Mare d’Azov domina poi la Crimea e regna sul Mar Nero. Probabile che Putin resisterà fino alla primavera quando avrà pronti i 300mila riservisti
La bandiera russa sventola su un monumento a Chornobaivka nella regione di Kherson

La bandiera russa sventola su un monumento a Chornobaivka nella regione di Kherson - Reuters

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Villaggio dopo villaggio, l’esercito ucraino sta stringendo il cappio intorno a Kherson. Diversamente dal Donbass, qui la battaglia è metodica. Ricorda le offensive di Montgomery durante la Seconda guerra mondiale, ragionate e lente.

Le difese russe, scaglionate in profondità, sono arretrate piano piano di decine di chilometri. Inferiori in bocche da fuoco e in uomini, non possono che abbozzare contrattacchi limitati. Il loro corpo di spedizione, mal rifornito, allinea appena 25mila soldati. Il nemico ne ha tre, quattro volte tanto. Manovra meglio e lo fa con acume tattico. Evita l’assalto frontale. Scommette piuttosto sull’agilità per vie interne. Muove solo i reparti più veloci, lanciandoli a bordo di jeep blindate e pick-up. Li protegge con raid d’interdizione incessanti, favorito da artiglierie più prestanti.

È una tattica poco spettacolare, ma che sta pagando, accerchiando l’obiettivo finale. Che sorte riserverà a Kherson? Si assisterà a combattimenti casa per casa, costosi e improbabili, o gli ucraini espugneranno la metropoli gradualmente, assediandola e facendola capitolare come un frutto maturo? La città è quasi circondata. È come un’isola priva di ponti con la terraferma. Gli interrogativi allora si affollano. Avranno i russi abbastanza carburanti e munizioni per difenderla? Una cosa è certa: daranno battaglia. Stanno contrattaccando a Nova Kamianka e Suhy Stavok. Hanno fortificato tutte le difese, blindando i cinque chilometri a sud dell’asse Davyid Brid-Dudchany. Vi si sono trincerati, ribattendo metro su metro. Attendono rinforzi.

Per il Kiev Independent, c’è del nuovo in fieri. I comandi russi nel Donetsk rallenteranno presto le offensive nella regione e rimpolperanno l’arco meridionale, fra Kherson e Zaporizhzhia. Muovendo da quest’ultima, gli ucraini avrebbero infatti nel mirino anche Melitopol e Berdyansk. Parliamo di centri nevralgici, porte d’accesso al Mare d’Azov e alla Crimea. Qui si giocheranno le sorti della campagna militare russa e del prestigio personale di Vladimir Putin. Se vi partisse una terza offensiva ucraina, vittoriosa, Kherson, il litorale azoviano e la penisola di Crimea vacillerebbero. Si tratta di una prospettiva inaccettabile per il Cremlino, per motivi duplici, economici e geostrategici. Fluiscono da lì gran parte delle vie del grano mondiali e le copiose produzioni carbonifero-siderurgiche del Donbass.

Chi controlla Kherson e i porti in acque profonde del Mare d’Azov domina poi la Crimea e regna sul Mar Nero, via d’accesso al Mediterraneo, obiettivo russo imprescindibile fin dai tempi di Pietro il Grande, perché da qui il Paese ha un’autostrada spalancata sull’«oceano mondiale», indiano e atlantico, scrigno di ricchezze globali. Ne va del rango internazionale della Russia, altrimenti menomato.

Ecco perché è molto probabile che Putin resisterà ad oltranza fra Kherson e Zaporizhzhia. Si è già fatto due calcoli: le piogge autunnali ostacoleranno a breve la manovra ucraina e, in primavera, avrà pronti i 300mila riservisti testé mobilitati. Allora l’Armata rossa potrà giocare con l’Ucraina su un piano di parità numerico. Mesi duri e drammatici si profilano all’orizzonte.

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