mercoledì 31 marzo 2021
Mancano però Usa, Cina, Russia e la Commissione Ue, nonostante l’adesione di Michel. Draghi (l’Italia guida il G20) tra i firmatari
Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel

Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel - Reuters

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«Crediamo che le nazioni dovrebbero lavorare insieme verso un nuovo Trattato internazionale per la preparazione e la risposta alle pandemie». La proposta è arrivata ieri dal direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e da 25 capi di Stato e di governo, tra cui il primo ministro britannico Boris Johnson (che guida il G7), la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi (che dirige il G20), aggiuntosi in giornata alla lista. Le assenze tra i firmatari sono però vistose. Mancano grandi Paesi come Usa, Cina, India, Russia. Singolare che manchi anche la firma della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, ma «non significa che non condivida l’obiettivo» di arrivare ad una migliore preparazione in vista delle future pandemie, ha detto la vice portavoce capo della Commissione Dana Spinant.

Obiettivo del trattato sarebbe quello di sostenere un approccio «pangovernativo», rafforzando «le capacità regionali e globali» e la «resilienza» alle future pandemie. Un trattato favorirebbe, nelle intenzioni dei promotori, la collaborazione internazionale per migliorare «la raccolta dei dati, la ricerca, la produzione locale, regionale e globale e la distribuzione delle contromisure, come vaccini, farmaci, strumenti diagnostici ed equipaggiamento protettivo». «La nostra solidarietà nell’assicurare che il mondo sia meglio preparato sarà la nostra eredità», per far sì che venga «minimizzato l’impatto delle future pandemie sulle nostre economie e società». «Sono passati ora 425 giorni da quando ho dichiarato che il Covid -19 era un’emergenza sanitaria globale», ha detto ancora Tedros, che il 23 gennaio 2020 dichiarava che si trattava di «un’emergenza che riguarda la Cina, ma non è ancora diventata un’emergenza globale».

Il 29 gennaio informava poi che l’Oms stava valutando un sistema «a semaforo» per decretare l’emergenza internazionale (la pandemia è stata poi dichiarata l’11 marzo). La pandemia di Covid-19, ha continuato il numero uno dell’Oms, «ha messo allo scoperto le differenze nei sistemi di risposta. Il tempo di agire è ora: il mondo non può aspettarsi che la pandemia sia finita, per iniziare a pianificare in vista della prossima». Una prossima pandemia «non è questione di se ma di quando, quindi dobbiamo essere pronti e non abbiamo tempo da sprecare», ha insistito da parte sua Michel, secondo il quale la lezione che il Covid-19 ha insegnato è che «nessun Paese, nessun continente può sconfiggere» una pandemia «da solo, serve un approccio globale».

I leader firmatari della proposta hanno evidenziato che «la pandemia di Covid-19 è stata un duro e doloroso promemoria che nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro». «Pertanto – hanno concluso – ci impegniamo a garantire un accesso universale ed equo a vaccini, medicinali e strumenti diagnostici sicuri, efficaci ed economici per questa e le future pandemie. L’immunizzazione è un bene pubblico globale e dovremo essere in grado di sviluppare, produrre e distribuire vaccini il più rapidamente possibile». Restano i dubbi su come l’attuale pandemia sia cominciata. Ieri l’Oms ha chiesto ulteriori studi e dati, anche per indagare su eventuali (ma remote) fughe da laboratorio. Il rapporto degli esperti inviati dall’Oms a Wuhan, ha detto ancora ieri Tedros, «non è la fine». «Per comprendere i primi casi» di Covid-19, «gli scienziati trarrebbero vantaggio dal pieno accesso ai dati». Gli Usa, insieme a 13 Paesi alleati, hanno espresso «preoccupazione» per l’esito delle indagini, esortando la Cina a fornire «pieno accesso» agli esperti.

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