sabato 14 giugno 2025
Tra giravolte e capriole quotidiane, il presidente Usa appare sempre più incapace di gestire la scena internazionale e l'America sempre più isolata
Donald Trump

Donald Trump - .

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Il trascorrere del tempo rende ogni giorno più definita la doppia personalità di Donald Trump. Quella del talentoso e spregiudicato affarista e quella dell’imbarazzante principiante internazionale. La prima, emanazione diretta del più celebrato dei suoi travestimenti – quello che tuonava «You’re fired!», sei licenziato! nel reality televisivo “The Apprentice” che gli ha dato fama e notorietà più ancora della sua attività di immobiliarista –, che gli consente giravolte e capriole quotidiane giocando fra dazi, invettive, tassi di sconto, minacce di embargo e di sanzioni ai meno docili (e un indubbio punto a favore con il compromesso sui dazi con Pechino); la seconda invece è un‘infruttuosa presbiopia che si è tradotta in una catena di insuccessi planetari.

Dagli Accordi di Abramo, precipitati sotto la suola delle scarpe dopo il raid di ieri di Israele in Iran, alla gestione di Gaza, reclamizzata in formato cartolina come la futura Shangri-La dove i ricchi baroni del petrolio potevano edificare sulle macerie della vergognosa macelleria umana un paradiso terrestre su modello Mar-a-Lago. Anche qui, un fallimento. Come fallisce il G7 che si apre domani in Canada, autoaffondato da veti incrociati, con un’America che non è disposta a condannare Mosca per i violenti raid in Ucraina (solo due giorni fa il segretario di Stato Marco Rubio ha rivolto pubblici auguri a Vladimir Putin per la Giornata della Russia) e contemporaneamente mostra segni di distacco e insofferenza per l’allungarsi delle trattative e la difficoltà di condurre in porto anche un transitorio cessate il fuoco. Per finire poi con l’Iran, sfuggito di mano a Trump che si apprestava a chiudere (o per lo meno a tentare di farlo) la trattativa sul nucleare illudendosi di tenere a freno Netanyahu o di fingere di farlo moltoi pi§ probabilmete. Pronostico subito sovvertito dai fatti. Anche qui l’”Art of the deal” di cui Trump ama vantarsi (e con lui la stampa amica del tycoon) si frantuma su una catasta di delusioni. Che lui stesso riconosce. «Sono molto deluso dalla Russia, e anche dall’Ucraina, perché penso che gli accordi si potevano fare». Tradotto in termini pratici: mi tolgo dalla scena, ci pensino loro a mettersi d’accordo.

Morale: Russia, Ucraina, Medio Oriente. Tre promesse elettorali di The Donald che gli scivolano come sabbia fra le dita. Quasi verrebbe voglia di consolarlo per quella pervicace sfortuna di fronte alle sottigliezze della diplomazia, paragonabile solo a quella del compianto Jimmy Carter. Ma Carter era un idealista mosso da una forte spinta morale, e per questo inadatto al rude tavolo da gioco della politica internazionale. Ciononostante Trump, che ne è l’esatto contrario, non rimedia altro che sconfitte. C’è già chi mastica amaro e rovescia lo slogan “America First” (lo stesso che portò The Donald alla vittoria elettorale) in “America Alone”, cioè America tutta sola. Un’America ben diversa dallo splendido isolazionismo che informò la Dottrina Monroe e quel “Destino manifesto” che offrì alla nascente superpotenza americana il crisma di una missione morale. Oggi l’America è sola e prigioniera di sogni inverosimili (come l’invasione di Panama e Groenlandia). Sola e emarginata. A cominciare dai suoi più stretti alleati. Ci avreste mai creduto?

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