giovedì 12 dicembre 2024
La sorella Francesca: «Finalmente la gente può esprimere un progetto: mio fratello è per loro è una sorta di mito ma la sua vita è anche una verità»
Un ritratto di padre Dall’Oglio a Damasco al funerale di Mazen al.Hamadesh

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Le foto con il ritratto di padre Paolo Dall'Oglio alzate nel centro di Damasco, il suo nome scandito, assieme a quello di altri illustri "desaparecidos" del regime di Assad, durante i funerali di Mazen al-Hamadeh, storico dissidente, trovato cadavere nel "carcere mattatoio" di Sednaya. Una dimostrazione popolare di affetto, un riconoscimento del gesuita - rapito a Raqqa il 29 luglio 2013 - come uno dei padri morali della nuova Siria. Di seguito l'inervista alla sorella Francesca Dall'Oglio.

Un riconoscimento popolare spontaneo di padre Paolo Dall’Oglio come uno dei “padri morali” della resistenza ad Assad. Questo il senso del corteo a Damasco per i funerali di Mazen al-Hamadeh in cui molte foto hanno ricordato il gesuita italiano.

Francesca Dall’Oglio, prima di tutto che effetto le fa vedere le foto di suo fratello alzate in un corteo nel centro di Damasco?

Una grande emozione perché, di fronte a questo silenzio totale sulla sua sorte, comunque per almeno una parte del popolo siriano Paolo è importante, hanno capito quanto ha fatto perché la Siria si riconciliasse, perché si approvasse una Costituzione che tenesse conto dei diritti umani, e per questo era pronto a dare la sua vita. Tutto questo è molto bello. E il corteo non è un segnale isolato: mi hanno riferito la testimonianza di un dissidente, tuttora in Siria, secondo cui il web e Facebook in particolare, sono invasi da messaggi dove si chiede di Paolo. Dicono: «Paolo dove sei?», «Paolo vieni fuori». È commovente! Messaggi non solo da parte di musulmani, ma anche di cristiani non legati a Mar Musa. È come se i siriani ora potessero finalmente esprimere un loro progetto: in questo Paolo rappresenta una sorta di mito, ma anche, la sua vita, è una verità.

In questi giorni sono avvenute liberazioni insperate. Ci sono nuovi segnali su padre Paolo?

Non c’è notizia che sia stato trovato, ma stanno uscendo vivi da quelle carceri persone di cui non si sapeva più nulla: un libanese è uscito vivo dalle prigioni di Assad dopo 45 anni. E alle famiglie avevano detto che erano morti: uno stillicidio di violenza del regime anche rispetto alle informazioni date alle famiglie dei sequestrati.

La caduta di Assad ha messo sotto i riflettori la tragedia dei “desaparecidos” siriani. Quali responsabilità emergono? Come fare giustizia senza ansia di vendetta?

Bisogna entrare in un percorso, direbbe Paolo, di riconciliazione con tempi anche molto lunghi. I “desaparecidos” sono questi dissidenti finiti nel baratro del regime di Assad, ma abbiamo anche un grande numero di persone sparite negli anni dell’Isis nel Nord. Sarà importante che si riesca a realizzare una riconciliazione. Penso che la formazione di uno Stato che possa essere costituzionale con il riconoscimento dei diritti di ogni comunità è una via per avviare il processo. Non so se sarà possibile, è una speranza.

Paolo Dall’Oglio, ancora studente gesuita, andò a Beirut per «farsi arabo» e poi divenne visceralmente siriano. Francesca Dall’Oglio, qual è il suo lascito principale per la nuova Siria?

Che il dialogo è possibile sempre, e con tutti. Che il dialogo parte dal riconoscimento dell’altro. E anche il dialogo con i musulmani, che Paolo ha portato nel suo cuore fin dall’inizio. Basta rileggere l’ultima intervista che Paolo fece a Raqqa il giorno prima di essere di rapito, dove già si vede che il suo contributo – al di là del fatto che possa essere vivo oppure no – è di chiedere a tutti i siriani di impegnarsi perché il loro Stato possa essere una strada per ritrovare una armonia tra tutte queste diversità. Penso anche ai curdi, che si sono impegnati combattendo contro l’Isis, e che vengono combattuti dalla Turchia. Quindi il cammino da fare è molto, molto lungo. Il lascito di Paolo è che si può avviare un percorso. E mi viene in mente quanto detto dal Papa nella dichiarazione di Abu Dhabi: bisogna che ci sia una cittadinanza inclusiva, che si esca da questi meccanismi di protezione per cui, in cambio dell’asservimento alla logica del regime, si otteneva una protezione. Ora la protezione c’è in quanto cittadini, e si appartiene a una stessa comunità. Credo sia questo il messaggio di Paolo.

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