sabato 14 giugno 2014
​Il comandante della missione Kfor, Farina: risultati positivi sul fronte della sicurezza.(Claudio Monici) 
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​«Un grande segno di maturità democratica da parte di tutto il popolo del Kosovo. Un segnale positivo e grande dimostrazione di capacità e di efficienza delle unità preposte, in primis, alla sicurezza. Mi riferisco alla polizia kosovara che ha confermato le sue capacità sia nel sud albanese che nel nord serbo, tanto più se pensiamo che questa forza di polizia integrata (albanesi e serbi, ndr), che dipende da Pristina, è stata creata solo pochi mesi fa. Per Kfor è importante, prima di tutto, che non avvengano incidenti e che, dunque, si consolidi un clima rassicurante per la popolazione». Con queste parole il generale Salvatore Farina, comandante della missione Kfor, commenta lo svolgimento delle elezioni politiche che si sono tenute in Kosovo domenica scorsa, e attese come un vero banco di prova, di maturità politica. Sono 550 i militari italiani, Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri, impegnati in Kosovo su un’area che copre circa la metà del suo territorio, l’altra metà è sotto responsabilità americana, quale contributo alla missione Nato «Kfor» (Kosovo Force). Dal febbraio del 2013 il comando di tutta la missione, dopo quattro anni a guida tedesca, è tornato nelle mani di un ufficiale italiano, il generale di divisione dell’Esercito Salvatore Farina, alle cui dipendenze operano 31 nazioni. Fra tre mesi il generale Farina cederà il passo a un altro generale italiano. Un Kosovo che ancora resta a tutti gli effetti una Provincia della Serbia, come previsto dalla risoluzione Onu 1244, anche se nel 2008 il governo di Pristina ha, unilateralmente, proclamato la sua indipendenza.«Consideriamo i nostri risultati molto positivi – osserva il generale Farina nel suo quartier generale a Pristina –. Il nostro agire è su più livelli: tattico e operativo con le autorità locali, aprendo di più al dialogo, per far capire loro il grande vantaggio che hanno con una vera pacificazione. È stato un cammino che ha contribuito a consolidare la fiducia in Kfor da parte dell’etnia che era più scontenta delle altre, quella serba. Ci sono stati degli atti concreti, come l’avere portato il ministro della Kosovo security force, Agim Ceku, nel monastero ortodosso di Decani, con padre Sava, a inaugurare un ponte. Così abbiamo avvicinato le due organizzazioni che più rappresentano le due comunità: la Chiesa ortodossa serba e la polizia kosovara. Nello stesso posto, insieme, stringendosi la mano».Il contributo fornito dai militari italiani alla stabilità del Kosovo risale al 1999, anno di inizio della missione Nato, quando in questo Paese si dispiegavano 55mila soldati, mentre ancora divampavano gli ultimi fuochi di guerra tra forze militari serbe sostenute da Belgrado, milizie serbo-kosovare e guerriglieri albanesi dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck). Oggi che il totale dei militari stranieri è sceso a 5.500, gli italiani, con oltre 550 militari, rappresentano il maggiore sforzo di tutta la missione.  Dopo sei mesi c’è stato il cambio della guardia alla guida del «Multinational battle group west», al «Villaggio Italia», cinque chilometri a nord della città di Pec, dove è dislocata l’unità multinazionale a guida italiana, che comprende anche militari sloveni, austriaci e moldavi. Al 52° reggimento Torino, con base a Vercelli, comandati dal colonnello Antonio Sgobba, è subentrato il reggimento Lanceri Montebello Ottavo, di Roma, del colonnello Angelo Minelli.«Il mio successore avrà davanti un altro anno di sfide per accompagnare questa missione sempre più vicina al suo definitivo compimento – dice il generale Farina –. Più il dialogo si rafforza e più si raggiungerà questo scopo. Anche se parlare di chiusura della missione Kfor, secondo me, è prematuro. È comunque una decisione che deve prendere il Consiglio Altantico. A settembre ci sarà il mio ultimo rapporto e su questa base deciderà. Comunque, l’ultima risposta è basata più sulle condizioni da raggiungere e da completare che sui tempi».Una di queste condizioni, ad esempio? «Arrivare a sganciare i militari che sono di guardia al monastero ortodosso di Decani – risponde Farina –. Una condizione importantissima, una condizione fisica. Oggi, però, non abbiamo i parametri che ci indicano un accordo tra le parti, per la sicurezza del monastero. Stiamo lavorando a questo». Secondo Farina, «ci vorrà tempo per un riconoscimento completo del Paese. Questa attesa non deve impedire, comunque, la crescita democratica ed economica del Kosovo. Il traguardo ambito è quello dell’Unione Europea. Questo potrebbe essere il, o uno dei motori, che spingeranno le parti a un accordo».
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