Liliach Lea Havron e il marito Eviatar Kipnis - .
Erano tre i passaporti italiani tra i presunti ostaggi a Gaza. Era lì nell’enclave che, fino all’ultimo, le loro famiglie speravano che si trovassero. Meglio nella lista degli ostaggi – stando al conto di oggi, 220 - vivi, che in quella dei defunti. L’intera comunità italiana in Israele si era aggrappata a questa speranza. Fino a ieri, quando alle 20.13 è stata comunicata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani la morte di Liliach Lea Havron, del kibbutz Be'eri - a pochi chilometri da Gaza - assistente sociale, da sempre impegnata nel perseguimento del processo di pace. Come suo marito, l’artista Eviatar Kipnis, il cui corpo era stato ritrovato nei giorni scorsi.
Al totale sconforto per le loro famiglie e per la comunità italiana si è aggiunto il comunicato delle ore 23.26, in cui veniva annunciata anche la morte di Nir Forti, 29 anni, di Omer, una piccola cittadina nel sud di Israele. Nir lavorava a Tel Aviv nell’heigh tech e amava la musica. Per questo si era recato al Festival Supernova - uno dei principali target del gruppo terroristico - dove hanno perso la vita oltre 270 giovani, inclusa la ragazza di Nir.
Nir Forti - .
Ieri ci hanno lasciato per sempre tre italiani. Come molti altri israeliani con doppio passaporto, possedevano quello strumento in più per sperare in un rilascio, attraverso l’arma della diplomazia internazionale. Su questo ha puntato, fin dal primo giorno - dopo il massacro del 7 ottobre e la scoperta, tramite i social dei terroristi, di tutti prigionieri nella Striscia - il Comitato delle Famiglie degli Ostaggi, parte delle quali sono oggi in visita diplomatica in Italia.
Fondamentale è stato l’impegno da parte del ministero degli Affari Esteri e l’Ambasciata italiana a Tel Aviv, che nel corso di questi 18 giorni hanno lavorato incessantemente nella speranza di poterli riportare a casa. Invece, a casa, non torneranno.
Assieme a loro, ieri, per una fetta di Israele è morta la speranza non solo per i 3 cittadini israelo-italiani “dispersi”, ma per tutti gli altri: sono oltre un centinaio in questa lista grigia, e centinaia le famiglie che vivono nel limbo. Come lo erano, fino a ieri, quelle di Lilach, Eviatar e Nir.
Hamas ha portato via un pezzo di famiglia non solo alla comunità italiana, ma a tutto il Paese. Perché Israele è una grande famiglia e anche chi israeliano non è, ma qui ha vissuto, lo sa, e se ne sente parte. Ora altre tre persone sono entrate a far parte della lista di coloro che non faranno mai più ritorno: ad oggi, 1.410. Eppure, come ha ricordato Yotam durante il funerale del padre: «In queste ore così terribili, mentre affrontiamo ogni giorno un altro funerale, non dimentichiamo la vita. Perché c'era vita prima della guerra, c'è vita durante, e ci sarà vita dopo. Dobbiamo continuare ad amare la vita che c’era e quella che ci sarà: amare il nostro mondo e tutti gli esseri umani che ve ne fanno parte».