domenica 13 dicembre 2009
Assegnati 7 giacimenti a cinesi, francesi e russi. «Entro sei anni 12 milioni di barili al giorno». Grandi assenti i colossi americani.
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Un’asta di pozzi in diretta televisiva dal fortino del ministero del Petrolio iracheno, circondato dai resti delle autobomba che martedì hanno ucciso 127 persone, si è conclusa con un successo. È la prima volta dal 2003 che così tante imprese straniere dimostrano volontà di investire nel martoriato Paese e fiducia nel suo governo. Ma la rara offerta di alcuni dei più grandi giacimenti del mondo ha messo in evidenza anche quanta strada l’Iraq deve ancora fare per diventare uno dei maggiori produttori di greggio al mondo e risollevare la sua economia.Più di 40 compagnie petrolifere (fra cui le italiane Eni e Edison) sono accorse venerdì e ieri all’opportunità, unica di aver accesso alle ricche riserve di greggio del Medio Oriente. Alla fine di due giorni di asta, però, solo sette dei quindici giacimenti messi all’incanto (tutti ancora da scavare) hanno ricevuto offerte accettabili. Tutti, con un’eccezione, si trovano nelle zone più sicure del sud del Paese o nei pressi della relativamente tranquilla Mosul dove però continua il martirio dei cristiani. Ancora più significativo, i veri colossi mondiali dell’estrazione petrolifera, le americane Exxon e Chevron, si sono tenute alla larga, Una diffidenza che deriva dalla loro conoscenza più immediata dei rischi nel Paese, da dove le truppe americane stanno lentamente ritirandosi. Mentre da tempo il passaggio dei pieni poteri al governo iracheno ha interrotto l’iniziale gestione Usa degli impianti operativi. Assenti gli americani, sono stati i russi a farla da padroni, accaparrandosi un lucrativo contratto che era loro sfuggito sotto il regime di Saddam.Il ministro del Petrolio ha ugualmente dichiarato l’asta un trionfo: «È una grande vittoria per l’Iraq», ha detto Hussain al-Shahristani. Il risultato finale è in effetti un progresso enorme rispetto alla prima asta dell’era post-Saddam, quella dello scorso giugno, andata semideserta a causa della sicurezza altamente instabile. Ma soprattutto la giornata di ieri ha segnato l’inizio di una nuova fase della storia irachena: quella dell’indipendenza economica che potrebbe accelerare l’indipendenza militare. A pieno regime, i giacimenti appaltati ieri potrebbero infatti aiutare l’Iraq a tornare fra i maggiori produttori di oro nero al mondo. Il loro sfruttamento nel giro di pochi anni potrebbe far schizzare la produzione di greggio giornaliera dagli attuali due milioni e mezzo di barili al giorno a oltre sette. Più ottimistiche ancora le previsioni del ministro al-Shahristani, convito che grazie ai contratti sottoscritti ieri e a giugno la produzione arriverà a 12 milioni di barili al giorno entro i prossimi sei anni (poco meno dell’attuale produzione dell’Arabia Saudita). Secondo gli analisti, un obiettivo più realistico sono 8-10 milioni di barili. In ogni caso, l’Iraq si posizionerebbe immediatamente dietro Arabia Saudita (con 12,5 milioni) e Russia (con 10) nella classifica dei maggiori produttori globali, superando l’Iran. Se così fosse, potrebbero sorgere tensioni con il vicino sciita. «È inevitabile che l’Iraq nel giro di qualche anno contenda all’Iran il primato nel mondo sciita», spiega Gala Riana della IHS Global Insight.Baghdad di certo ha un disperato bisogno dei petrodollari che pioveranno nelle sue casse quando i pozzi cominceranno a funzionare a pieno regime, dopo decenni di guerre e sanzioni e anni di abbandono e sabotaggi. Le licenze sottoscritte a giugno e negli ultimi giorni sono infatti particolarmente vantaggiose per Baghdad. Durano vent’anni e non prevedono una condivisione del profitto con le società petrolifere, bensì il pagamento di una tariffa fissa da parte del governo iracheno all’estrattore per ogni barile portato in superficie. E le tariffe finali sono risultate inaspettatamente basse.Nonostante l’assenza americana, la competizione per i due super giacimenti che insieme rappresentano più della metà delle riserve irachene, è stata infatti feroce. La concessione del primo, il West Qurna Phase Two che contiene 12,9 miliardi di barili, è andata a un consorzio fra la russa Lukhoil e la norvegese Statoil. Saddam Hussein aveva già promesso il giacimento alle due compagnie negli anni novanta, salvo poi rinnegare l’accordo. Royal Dutch Shell e Petronas (Malaysia) si sono aggiudicate invece diritti per sviluppare Majnoon, uno dei più grandi del mondo, e portarne la produzione a 1,8 milioni di barili al giorno, più del doppio di quanto l’Iraq aveva previsto. In cambio hanno chiesto appena 1,39 dollari al barile. L’altro pretendente, la francese Total, si è dovuto accontentare del più piccolo giacimento di Halfaya (4,1 miliardi di barili di riserve) in un consorzio guidato dai cinesi della Cnpc. Ma nessuna offerta è stata presentata per i pozzi più pericolosi, tra cui il mega giacimento di Baghdad Est, che si estende in parte sotto il quartiere di Sadr City. Le grandi compagnie hanno evitato anche la maggior parte dei siti del nord, dove arabi e curdi sono ai ferri corti e i ribelli sunniti legati ad al-Qaeda molto attivi.
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