giovedì 23 dicembre 2010
Il messaggio, recapitato via e-mail a mons. Louis Sako, è giunto dallo stesso gruppo che ha rivendicato la strage del 31 ottobre nella cattedrale di Baghdad: «Fate liberare le nostre sorelle in Egitto così come chiedete  di salvare Tareq Aziz». Annullata per precauzione la messa della vigilia di Natale. Il governo al-Maliki promette un piano speciale di sicurezza per la comunità caldea.
- Scomodi uomini di pace di Fulvio Scaglione
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Pagherete «un prezzo altissimo» se non sarà fatto tutto il possibile per liberare le «nostre due sorelle» egiziane. Dovete fare per loro tutto quanto è stato fatto per salvare dalla pena di morte il «cristiano» Tareq Aziz, l’ex braccio destro di Saddam Hussein.Una minaccia recapitata via e-mail all’arcivescovo caldeo di Kirkuk, Louis Sako. Proprio lui nei giorni scorsi aveva preannunciato un Natale in un clima di lutto per la strage del 31 ottobre alla cattedrale siro-cattolica di Baghdad. Solo preghiera, estrema sobrietà e nessuna celebrazione pubblica a causa di stringenti misure di sicurezza: nessuna Messa di Natale a mezzanotte a Kirkuk come pure a Mosul e a Baghdad, nessun addobbo sulle facciate delle chiese ormai pattugliate dalle forze dell’ordine o da volontari delle sempre più esigue comunità.Un presagio di una minaccia incombente e da ieri divenuta realtà: l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, riporta il giornale panarabo al-Hayat, ha infatti ricevuto un messaggio firmato dal “ministero della guerra dello Stato islamico dell’Iraq”, il gruppo affiliato ad al-Qaeda che rivendicò la notte del 31 ottobre la strage di Ognissanti. «Se perseverate nell’essere ostili contro i musulmani sfidando i mujaheddin – si legge nel messaggio citato dall’arcivescovo Sako – anche se dovessero rimanere solo due mujaheddin, questi due daranno loro stessi per combattervi. Per questo dovete abbassarvi alle nostre richieste».Il testo evocando direttamente l’attentato compiuto il 31 ottobre scorso contro la cattedrale siro-cattolica di Baghdad – una strage che fece 57 vittime – e riprende gli stessi argomenti di quella terribile rivendicazione: anche allora si chiedeva la liberazione «entro 48 ore» delle «sorelle detenute» in Egitto e si pretendeva che il Vaticano facesse «pressione sulle Chiese d’Oriente». Dopo di che i cristiani in Medio Oriente vennero definiti da al-Qaeda «bersagli legittimi» che si potevano colpire in qualsiasi momento.Una artificiosa questione sulla sorte di Camilla Shehata e Wafa Costantine, spose di due preti copti: la prima scomparsa per alcuni giorni nel luglio di quest’anno e riportata a casa dalla polizia. La Chiesa copta ha spiegato che la donna non era stata rapita ma si era allontana spontaneamente da casa: un episodio che aveva subito suscitato le proteste di alcuni gruppi fondamentalisti islamici secondo i quali la donna si voleva convertire all’islam e per questo sarebbe ora guardata a vista in un monastero copto. L’altra donna, Wafa Costantine, era invece sparita nel 2004 con l’intenzione, secondo alcuni funzionari governativi, di convertirsi all’islam. Circostanza anche questa smentita. «Avevano lasciato le loro case per disaccordi familiari, ma non vi è stata da parte loro nessuna conversione all’islam», aveva ribadito all’inizio di novembre il direttore del settimanale dei copti el-Watani. Pure la moschea universitaria di al-Azhar aveva smentito qualsiasi ipotesi di conversione all’islam.Ma ieri il “ministero della guerra dello Stato islamico dell’Iraq” è tornato a chiedere ai responsabili cristiani di «condannare i capi della chiesa egiziana copta, che è in guerra con i nostri fratelli e sorelle musulmani» e di mostrare «la vostra volontà di fare pressione su quella chiesa perché liberi le nostre sorelle, così come vi impegnate per salvare Tareq Aziz dal cappio del boia». Troppo evidente il collegamento con possibili nuovi attentati in occasione del Natale, come denuciato più volte dagli stessi cristiani d’Iraq. Negli ultimi due mesi più di mille famiglie sono fuggite nei villaggi del Kurdistan iracheno, ritenuti più sicuri, se non in Siria e in Giordania. E chi resta vive barricato in casa, costretto ad assentarsi per lunghi periodi anche dai luoghi di lavoro. E sempre più numerosi compaiono muri di cemento per proteggere le chiese di Baghdad e Mosul: un Natale sotto assedio in casa propria.
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