domenica 11 luglio 2021
L'appello del Nobel Joseph Stiglitz ai Grandi: è il modo più efficace per aumentare la produzione di vaccini. «Ma a Big Pharma non conviene»
Il Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz

Il Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz - Ansa

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«Non è il tempo di perdersi in dibattiti. È un lusso che il mondo non può permettersi. È il tempo di agire». La voce di Joseph Stiglitz risuona da una sponda all’altra dell’Atlantico con l’usuale chiarezza. Economista tra i più noti, saggista, studioso in prima linea nella lotta alle diseguaglianze, il Nobel è stato tra i 170 esponenti del mondo della politica, dell’accademia e della cultura a chiedere al presidente Usa Joe Biden di dar seguito all’annuncio e sostenere, di fronte all’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto), la proposta di India e Sudafrica per la sospensione dei brevetti sui vaccini anti-Covid. A coordinare l’iniziativa della lettera aperta – presentata in vista delle ultime riunioni della Wto – è stata la People’s Vaccine Alliance che vede Oxfam e Emergency impegnate nella battaglia per l’accesso universale ai farmaci, accanto a oltre 50 organizzazione internazionali. Con Avvenire, ora, il professor Stiglitz rinnova l’appello e lo rivolge non solo alla Casa Bianca bensì ai principali leader del pianeta, finora riluttanti a entrare in conflitto con gli interessi di Big Pharma, nonostante le autorevoli petizioni. Inclusa quella di papa Francesco. «È urgente fare il possibile per aumentare l’offerta di vaccini, medicinali e dispositivi per far fronte alla pandemia. E garantirne la disponibilità alla maggior parte della popolazione, inclusa quella dei Paesi poveri – afferma il Nobel –. Ciò implica, ovviamente, il finanziamento dell’alleanza solidale Covax. Ma soprattutto richiede lo stop temporaneo dei brevetti. Se la Wto l’avesse fatto quando Pretoria e New Delhi l’hanno proposto la prima volta, la quantità di prodotti anti-Covid sarebbe maggiore. Forse molto maggiore».
Professor Stiglitz, non ci sono modi più soft per incrementare l’offerta di vaccini?
Siamo di fronte a una carenza globale di approvvigionamento. In una simile congiuntura, questi vengono accaparrati in modo sproporzionato dai Paesi ricchi, dove si concentra la produzione. Progetti internazionali come Covax aiutano a correggere gli squilibri. Non sono, tuttavia, sufficienti. Il primo e cruciale passo da compiere – per quanto non l’unico – è sospendere i brevetti. Senza questo è difficile ipotizzare una risposta adeguata e tempestiva alla pandemia.
Perché tanta resistenza?
Avere un’ampia offerta, tale da soddisfare la domanda globale, non è nell’interesse delle case farmaceutiche. Alcune di queste hanno già le stime dei profitti dalla vendita dei vaccini: per realizzarli, l’offerta deve continuare ad essere limitata. Un’economia di mercato resiliente è perfettamente in grado di rispondere a un aumento di richiesta con un pari incremento della produzione. Sono le barriere legali artificiali – i diritti di proprietà intellettuale – ad impedire che si verifichi.
Al posto del congelamento dei brevetti, alcuni propongono le cosiddette “licenze volontarie": liberi accordi tra le detentrici dei marchi e case farmaceutiche del Sud del pianeta a cui viene affidato di fabbricare, previo pagamento dei diritti, i vaccini. È un’alternativa valida?
Se la sospensione dei brevetti richiede un processo lungo e complesso, gli accordi per le licenze volontarie sono perfino più lenti. Le compagnie farmaceutiche, inoltre, hanno mostrato scarso interesse a realizzarli. Comprensibile dato che puntano a massimizzare i profitti e questo presuppone un’offerta ridotta di vaccini. Non c’è altra spiegazione delle poche licenze volontarie concesse finora, nonostante l’urgenza e l’alto numero di aziende disponibili e in grado di produrli.
Come alto numero? L’industria farmaceutica ripete che, anche se i brevetti fossero sospesi, quasi nessuna realtà del Sud del pianeta potrebbe creare farmaci anti-Covid.
Non è vero. India e Sudafrica, solo per fare gli esempi più eclatanti, ne realizzano già tanti. Ci sono, poi, una miriade di aziende in grado e disposte a svolgere ruoli importanti nella catena di approvvigionamento globale. Ce ne sarebbero ancora di più, poi, se le grandi case farmaceutiche fossero disposte a trasferire tecnologia.
Di nuovo, Big Pharma sostiene che in questo modo si infliggerebbe un colpo mortale alla ricerca e all’innovazione.
Di nuovo, è falso.La sospensione dei brevetti, in primo luogo, non muta il regime giuridico: è un’opzione contemplata dal trattato istitutivo della Wto in casi di particolare gravità. I titolari dei brevetti ricevono, inoltre, un risarcimento, solo non a tasso di monopolio. La maggior parte delle ricerche da cui sono nati i vaccini, infine, sono state finanziate dai governi e condotte in gran parte dalle università. Dato il forte sostegno pubblico, l’interesse pubblico dev’essere prioritario. Le scoperte scientifiche dipendono dagli scienziati e questi lo hanno detto con chiarezza: i brevetti vanno sospesi.

Quanto ci costa non farlo?
Letteralmente migliaia di miliardi di dollari. Lo stop dei brevetti è il tipico caso in cui il calcolo costi-benefici è facile: Big Pharma perderebbe qualche miliardo, l’economia mondiale ne risparmierebbe centinaia, migliaia, forse decine di migliaia.

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