mercoledì 1 aprile 2009
 L’80% della popolazione teme l’avvelenamento di aria e acqua. Si stimano in 750mila le vittime ogni anno di un progresso che non rispetta uomini né ambiente. E per la crisi il governo taglia i fondi dell’ecologia
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«È la povertà che doma gli uomini». Sono le parole di un proverbio cinese, la sin­tesi del patto instaurato tra il governo di Pechino e la popolazione: sacrifici individuali per creare ricchezza collet­tiva. Ma questo tacito accordo sta ca­dendo sotto il peso della crisi econo­mica – oggi i disoccupati cinesi sono venti milioni – e soprattutto a causa dei problemi legati all’inquinamento. Per­ché in certe aree della Cina anche la so­pravvivenza diventa ormai difficile. Se­condo un’indagine dell’Associazione statale per la promozione della cultu­ra ambientale, la grave situazione eco­logica è la prima preoccupazione per la popolazione: oltre l’80% delle persone considera «una grave minaccia» l’in­quinamento dell’aria e dell’acqua. Quando nel 1978 Deng Xiaoping pro­mise di portare il Paese verso la mo­dernità, aprendolo al libero mercato, la popolazione comprese che avrebbe do­vuto darsi da fare. Ma difficilmente im­maginava che il prezzo dello sviluppo avrebbe compreso la salubrità del pro­prio habitat. Oltre 320 milioni di con­tadini non hanno ancora accesso a fon­ti d’acqua potabile e circa 200 milioni bevono acqua inquinata. Secondo una ricerca condotta nel 2008 dalla Banca mondiale e dal ministero dell’Ambien­te di Pechino, ogni anno circa 750mila persone (altri stimano 900mila) muoio­no prematuramente a causa dell’in­quinamento. Di esse, 400mila perdo­no la vita a causa della contaminazio­ne dell’aria, 300mila per la cattiva ae­razione dei luoghi chiusi e 50mila so­no vittime dell’acqua inquinata delle campagne che provoca diarrea, cancro allo stomaco, al fegato e alla prostata. In base ai dati della Banca mondiale, delle venti città del mondo dove l’in­quinamento dell’aria è più elevato se­dici sono cinesi, inoltre il 90% delle ri­sorse idriche urbane è inquinato, e la portata d’acqua dello Yangtze – il fiume più lungo del Paese – è diminuita no­tevolmente a causa dell’innalzamento della temperatura. E quest’anno la Ci­na è diventata il maggior produttore mondiale di gas serra del Pianeta, su­perando gli Stati Uniti. Uno scenario così grave è il contraltare di uno svi­luppo accelerato, che fino all’anno scorso lanciava la crescita del Pil cine­se oltre gli 11 punti percentuali. Per supplire alla domanda energetica interna e per ottenere ampi profitti dal­le vendite all’estero, il Paese del Drago­ne vive di carbone. La Cina è prima al mondo nell’estrazione e nel consumo del combustibile fossile, da cui ricava il 78% delle proprie necessità. L’anno scorso, durante la crisi di approvvigio­namento che ha colpito di Pechino a causa del maltempo, il ministero del­l’Energia promise la costruzione di u­na centrale elettrica ogni settimana: se­condo Greenpeace, si tratta quasi e­sclusivamente di centrali a carbone. Nelle province dello Shanxi e Shaanxi – le regioni limitrofe (e dallo stesso no­me) nel centro del Paese dove è più in­tensa l’estrazione del minerale – si tro­vano i cosiddetti 'villaggi del cancro' come Linfen (vedi articolo sotto) e Shenliu. E oltre all’inquinamento dell’aria pe­sano gli scarichi delle industrie chimi­che nei fiumi e nei laghi del Pae­se. Come il Tai, terzo per esten­sione, ormai talmente sporco che qualche tempo fa gli oltre tre mi­lioni di abitanti della cittadina di Wuxi hanno preferito farsi la doc­cia con l’acqua minerale piutto­sto che aprire i rubinetti. Nel rapporto ufficiale del 2006 sullo stato dell’inquinamento in Cina, si ammetteva che «consi­derando complessivamente le acque dei primi sette fiumi, il 26% del totale non raggiunge gli standard mi­nimi di qualità». Nell’undicesimo Pia­no quinquennale per la difesa dell’am­biente, il governo ha descritto i gravi problemi ecologici e lo scorso novem­bre ha varato un pacchetto di stimoli da 4 miliardi di yuan per rilanciare l’eco­nomia e aumentare la salvaguardia am­bientale. Poi, il 13 marzo, il Congresso nazionale del popolo (il Parlamento) ha approvato il piano ma dimezzando gli investimenti per l’ambiente: dal 9% previsto al 5% del totale degli stanzia­menti. Intanto, crescono la tensione interna e il fronte del dissenso, mentre Pechino è stata colpita dal calo delle importa­zioni, delle esportazioni e del Pil. Con l’aria pesante che tira nel Paese del Dra­gone, il governo teme che i cittadini possano mettere seriamente in discus­sione il patto per lo sviluppo imposto trent’anni fa.
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