«È la povertà che doma gli uomini». Sono le parole di un proverbio cinese, la sintesi del patto instaurato tra il governo di Pechino e la popolazione: sacrifici individuali per creare ricchezza collettiva. Ma questo tacito accordo sta cadendo sotto il peso della crisi economica – oggi i disoccupati cinesi sono venti milioni – e soprattutto a causa dei problemi legati all’inquinamento. Perché in certe aree della Cina anche la sopravvivenza diventa ormai difficile. Secondo un’indagine dell’Associazione statale per la promozione della cultura ambientale, la grave situazione ecologica è la prima preoccupazione per la popolazione: oltre l’80% delle persone considera «una grave minaccia» l’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Quando nel 1978 Deng Xiaoping promise di portare il Paese verso la modernità, aprendolo al libero mercato, la popolazione comprese che avrebbe dovuto darsi da fare. Ma difficilmente immaginava che il prezzo dello sviluppo avrebbe compreso la salubrità del proprio habitat. Oltre 320 milioni di contadini non hanno ancora accesso a fonti d’acqua potabile e circa 200 milioni bevono acqua inquinata. Secondo una ricerca condotta nel 2008 dalla Banca mondiale e dal ministero dell’Ambiente di Pechino, ogni anno circa 750mila persone (altri stimano 900mila) muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento. Di esse, 400mila perdono la vita a causa della contaminazione dell’aria, 300mila per la cattiva aerazione dei luoghi chiusi e 50mila sono vittime dell’acqua inquinata delle campagne che provoca diarrea, cancro allo stomaco, al fegato e alla prostata. In base ai dati della Banca mondiale, delle venti città del mondo dove l’inquinamento dell’aria è più elevato sedici sono cinesi, inoltre il 90% delle risorse idriche urbane è inquinato, e la portata d’acqua dello Yangtze – il fiume più lungo del Paese – è diminuita notevolmente a causa dell’innalzamento della temperatura. E quest’anno la Cina è diventata il maggior produttore mondiale di gas serra del Pianeta, superando gli Stati Uniti. Uno scenario così grave è il contraltare di uno sviluppo accelerato, che fino all’anno scorso lanciava la crescita del Pil cinese oltre gli 11 punti percentuali. Per supplire alla domanda energetica interna e per ottenere ampi profitti dalle vendite all’estero, il Paese del Dragone vive di carbone. La Cina è prima al mondo nell’estrazione e nel consumo del combustibile fossile, da cui ricava il 78% delle proprie necessità. L’anno scorso, durante la crisi di approvvigionamento che ha colpito di Pechino a causa del maltempo, il ministero dell’Energia promise la costruzione di una centrale elettrica ogni settimana: secondo Greenpeace, si tratta quasi esclusivamente di centrali a carbone. Nelle province dello Shanxi e Shaanxi – le regioni limitrofe (e dallo stesso nome) nel centro del Paese dove è più intensa l’estrazione del minerale – si trovano i cosiddetti 'villaggi del cancro' come Linfen (vedi articolo sotto) e Shenliu. E oltre all’inquinamento dell’aria pesano gli scarichi delle industrie chimiche nei fiumi e nei laghi del Paese. Come il Tai, terzo per estensione, ormai talmente sporco che qualche tempo fa gli oltre tre milioni di abitanti della cittadina di Wuxi hanno preferito farsi la doccia con l’acqua minerale piuttosto che aprire i rubinetti. Nel rapporto ufficiale del 2006 sullo stato dell’inquinamento in Cina, si ammetteva che «considerando complessivamente le acque dei primi sette fiumi, il 26% del totale non raggiunge gli standard minimi di qualità». Nell’undicesimo Piano quinquennale per la difesa dell’ambiente, il governo ha descritto i gravi problemi ecologici e lo scorso novembre ha varato un pacchetto di stimoli da 4 miliardi di yuan per rilanciare l’economia e aumentare la salvaguardia ambientale. Poi, il 13 marzo, il Congresso nazionale del popolo (il Parlamento) ha approvato il piano ma dimezzando gli investimenti per l’ambiente: dal 9% previsto al 5% del totale degli stanziamenti. Intanto, crescono la tensione interna e il fronte del dissenso, mentre Pechino è stata colpita dal calo delle importazioni, delle esportazioni e del Pil. Con l’aria pesante che tira nel Paese del Dragone, il governo teme che i cittadini possano mettere seriamente in discussione il patto per lo sviluppo imposto trent’anni fa.