sabato 18 dicembre 2010
Mille famiglie fuggite in Kurdistan dopo la strage in cattedrale. L'Alto Commissario critica il governo svedese per l'espulsione di 20 profughi. Sotto osservazione anche Olanda, Norvegia e Gran Bretagna. «Chi viene dalle zone a rischio deve essere protetto»
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Nuovo esodo di cristiani i­racheni dal Paese dopo la strage nella cattedrale di Nostra Signora del Perpetuo Soc­corso di Baghdad. «A causa dell’attacco del 31 otto­bre (che causò la morte di 57 cri­stiani, ndr) e dei successivi atten­tati contro i cristiani, molti fedeli delle comunità di Baghdad e di Mosul hanno dato inizio a un len­to ma costante esodo». È questa la denuncia di Melissa Fleming, por­tavoce dell’Alto Commissariato O­nu per i rifugiati. «Sono almeno un migliaio le famiglie che sono giun­te nel Kurdistan iracheno, nel nord del Paese, dall’inizio di novembre» ha proseguito la rappresentante dell’Unhcr, intervenuta ieri da Gi­nevra. Del resto questa rinnovata fuga a seguito di un massacro anticristia­no non è, purtroppo, isolato. Lo e­videnziava il New York Times in un articolo in prima pagina nei giorni scorsi dedicato al dramma dei cri­stiani iracheni. Nell’ottobre 2008, dopo un’ondata di 14 assassinii, ol­tre 4mila cristiani fuggirono dal Paese. Nel febbraio scorso 4mila ri­pararono nella piana di Ninive e in Siria dopo una serie di 10 omicidi. Melissa Fleming, alto funzionario Onu per i rifugiati, ha dunque stig­matizzato l’atteggiamento del go­verno svedese che nei giorni scor­si ha espulso venti rifugiati irache­ni: «Tra di loro vi erano cinque cri­stiani originari proprio della capi­tale irachena».Anzi, la Fleming ha specificato anche che l’ufficio O­nu per i rifugiati ad Amman, in Giordania, ha preso in carico il ca­so di un cristiano iracheno, scam­pato al massacro del 31 ottobre, che si è visto espulso dalla Svezia. Per questo motivo il Commissa­riato Onu è tornato «a chiedere con forza» ai diversi Stati occidentali «di non espellere gli iracheni che provengono dai luoghi più a rischio del Paese». E le cifre parlano di di­minuzioni costanti: oggi i cristiani nell’ex feudo di Saddam Hussein sono meno di mezzo milione quando contavano 1,2 milioni nel 2003; a Mosul restano solo 5mila cristiani dei 50mila di un tempo. «I nostri uffici nei Paesi vicini all’I­raq (Siria, Giordania, Libano) con­statano un numero crescente di cristiani iracheni che arrivano e cercano di venir registrati come ri­fugiati » ha scandito la Fleming, ag­giungendo che «le chiese e le or­ganizzazioni non governative ci hanno messo in guardia contro l’arrivo di nuovi profughi nelle prossime settimane». E non è solo la Svezia ad essere criticata dal Commissariato Onu: anche Olan­da, Norvegia e Gran Bretagna sono state messe sotto osservazione per­ché non rispediscano al mittente i cristiani che fuggono dall’Iraq. «La nostra convinzione – ha ribadito la Fleming – è che i richiedenti asilo iracheni delle provincie di Bagh­dad, Diyala e Kirkuk debbano con­tinuare a beneficiare di una prote­zione internazionale e dello statu­to di rifugiati». Intanto anche dall’amministrazio­ne americana arriva una netta pre­sa di posizione contro gli attacchi ai cristiani d’Iraq. Il vicepresiden­te Joe Biden, intervenendo al Con­siglio di sicurezza dell’Onu di que­sta settimana, ha evidenziato che «gli attacchi degli estremisti ri­mangono un aspetto inaccettabi­le della vita quotidiana in Iraq». Per questo gli Stati Uniti, ha rimarcato Biden, «sono particolarmente preoccupati dei recenti attacchi verso innocenti a motivo della lo­ro fede, sia cristiani che musulma­ni ». Tra gli ultimi fatti di violenza anticristiana, il rapimento di una studentessa a Mosul e l’omicidio mirato di due cristiani nella capi­tale Baghdad.
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