martedì 29 aprile 2014
Domani le legislative a Baghdad: le prime senza la presenza degli Usa sul territorio. La comunità è rappresentata in quasi tutte le 39 coalizioni. «La nostra è sempre stata una società ecumenica. E vogliamo difendere questa ricchezza».
COMMENTA E CONDIVIDI
Durante l’omelia, Abouna Masser Bahnam si sposta dal pulpito al­la navata centrale. Passa dall’e­mozione del racconto della canonizza­zione dei due Papi, a Roma, all’invito ai suoi fedeli a partecipare responsabil­mente alle elezioni legislative di doma­ni. «È una bella cosa avere due nuovi Pa­pi Santi», dice. Poi, all’uscita della Mes­sa domenicale, nella chiesa caldea di San Giorgio, area Radir in Baghdad Est, fa di­stribuire il poster celebrativo della suc­cessione dei patriarchi, con l’immagine dell’ultimo, Louis Raphael I Sako, reg­gente di Babilonia, in bella evidenza. Pro­prio Louis Raphael I, durante la plenaria della Congregazione delle chiese orien­tali a Roma, lo scorso novembre, ha sot­tolineato la condizione difficile in cui continuano a versare i cristiani nella re­gione. Dal 2003, secondo il Patriarcato caldeo di Babilonia, più di mille cristia­ni sono stati uccisi in Iraq, altri rapiti e ri­lasciati a prezzo di riscatto. Senza contare gli effetti della diaspora: nel 1987 la co­munità dei cristiani iracheni includeva oltre un milione e 200mila fedeli; oggi sono meno della metà. Molti, già ripara­ti in Siria, cercano di nuovo patria.  I pochi rimasti a Baghdad fanno sentire la loro voce. «È necessario non solo per noi – dice padre Masser, da sei mesi par­roco della chiesa e originario di Ninive, Nord dell’Iraq – ma per tutti gli iracheni. La nostra è una terra ecumenica e plu­rale: dobbiamo batterci per la nostra so­pravvivenza e per rendere sempre ricca la nostra società come, del resto, è sem­pre stata». Queste elezioni parlamenta­ri, le prime in assenza degli Stati Uniti sul territorio, sono una sfida importan­te: a preoccupare è il nodo della sicurez­za. Gli attentati degli estremisti non ces­sano. La competizione, tuttavia, è anche un’occasione per ottenere più candida­ti per le minoranze, in rappresentanza della propria appartenenza etnica e con­fessionale. Per occupare i 328 seggi par­lamentari a cui sarà affidato il compito di eleggere il presidente e il primo mini­stro, concorrono ben 9.011 candidati in tutto il Paese – tra cui oltre 2mila donne –, in rappresentanza di 250 gruppi poli­tici, organizzati in 100 liste e 39 coalizio­ni di cui la favorita è la sciita “Stato di di­ritto” che ha come uomo di punta del partito l’attuale primo ministro Nouri al-Maliki. In questo quadro generale, l’e­lettorato sunnita è particolarmente scon­tento ed è stato invitato a boicottare le e­lezioni. Il che potrebbe influire sui risul­tati dei due partiti più vicini alla comu­nità, il Murrahedun e Arabiya. L’ex pre­mier sunnita Iyyad Allawi ha voluto pren­dere le distanze da tutti i gruppi di ispi­razione religiosa. Il suo schieramento è formato da laici. I cristiani, dal canto lo­ro, si distribuiscono in quasi tutte le coa­lizioni, seguendo l’agenda politica della lista di appartenenza.  Il Movimento degli assiri democratici ha diversi cristiani tra le proprie fila. Sar­gon Y Slivo, membro del partito, è stato finora il coordinatore del Media Center e Media Advisor del ministro dell’Am­biente, Sargoon Lazar Salio, assiro e nuo­vamente candidato. Dice: «Siamo un movimento che tiene moltissimo alla condizione dei cristiani perché sono di­scriminati come cittadini di serie b. Chiediamo, sulla base delle poltrone che riusciremo a conquistare in Parlamen­to, tre cose: la riattivazione di due arti­coli di legge che ci consentirebbero la piena parità sociale; la creazione di for­ze di sicurezza locali, nella regione di Ni­nive, per proteggerci da eventuali attac­chi di altre etnie; ma soprattutto l’istitu­zione del governatorato di Ninive con la possibilità di accrescere gli investimen­ti edilizi e riconsegnare le case dei fede­li della diaspora alle loro famiglie, invi­tandoli a rientrare dalla Svezia o da do­vunque essi si trovino». Per ora, non c’è ombra di preoccupazio­ne su un possibile “effetto replica”, nel­l’antica terra di Abramo, dell’eterno con­trasto israelo-palestinese sui Territori. «In Iraq ci sarebbe spazio per tutti», sot­tolinea Abouna Masser. Che aggiunge: «Basta mettere in minoranza i fanatici».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: