martedì 21 novembre 2023
Le colonie spuntano dalla sera alla mattina. «In mezzo al nulla», dicono gli arabi. Ma quando l’insediamento s’ingrandisce, arrivano i posti di blocco
Il cordoglio al funerale di un miliziano ucciso si mischia alla rabbia nel campo profughi di Dheishen vicino a Betlemme

Il cordoglio al funerale di un miliziano ucciso si mischia alla rabbia nel campo profughi di Dheishen vicino a Betlemme - ANSA

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Prima la bomba d’acqua e poi quelle con l’esplosivo. Se a Gaza è stata una giornata di ordinaria mattanza, nel resto di Israele e Palestina le intemperie, i razzi e i caterpillar hanno scandito le ore verso il baratro di una imminente rivolta nei territori occupati, mentre in tutto il Paese le sirene sono suonate più di 130 volte.

«L’ordine non è ancora arrivato, ma saremo pronti», dice sottovoce un giovane che alla periferia di Betlemme, mentre si ripara dalla pioggia che ha allagato interi quartieri, enumera i borghi fantasma. «L’unica alternativa ad Hamas è un’altra Hamas, fino a quando loro saranno qui», ripete indicando in lontananza un punto che sulla mappa digitale è solo un poggio di pietra e strade. Ma dal vero, percorrendo i sentieri sassosi che conducono sul promontorio arido, si possono invece osservare i nuovi insediamenti dei coloni in Cisgiordania, protetti da torrette d’avvistamento, recinzioni elettrificate e camionette dell’esercito di Gerusalemme.

I palestinesi hanno un modo per spiegare dove si trovano le nuove colonie: «In mezzo al nulla di Jahalin», oppure «in mezzo al nulla di Kedar», per indicare quali villaggi sono minacciati dai coloni. Solo che quando «in mezzo al nulla» arrivano i primi convogli, per chi sta intorno sono guai. La viabilità cambia dalla sera alla mattina: blocchi di cemento sulle strade, per impedire che ci si possa avvicinare ai coloni. E quando l’insediamento s’ingrandisce, arrivano i posti di blocco, allo scopo di filtrare il transito e scoraggiare chi cerca lo scontro. Per chi deve spostarsi, vuol dire che da un giorno all’altro l’abituale tragitto di 15 minuti per portare i figli a scuola o recarsi al lavoro diventerà una roulette tra vie alternative che quadruplicano i tempi di percorrenza e i costi di viaggio. L’Autorità nazionale palestinese dice di non poterci fare nulla. E allora arrivano quelli di Hamas e delle fazioni estremiste a calamitare il rancore e trasformarlo in reazione contro quella che definiscono «apartheid», squadernando all’occorrenza una citazione di Mandela seguito dall’immancabile: «Li manderemo via tutti».

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Le tensioni israelo-palestinesi sono nuovamente divampate da quando il 7 ottobre i fondamentalisti di Hamas hanno preso d’assalto centinaia di civili in territorio israeliano e trascinato decine di persone nei nascondigli di Gaza: 1.400 morti e 240 ostaggi. Nella Cisgiordania occupata da Israele vivono tre milioni di palestinesi. In mezzo a loro decine di insediamenti con almeno 700mila coloni israeliani, intenzionati a farsi largo metro dopo metro a costo di usare le armi. Dal 7 ottobre sono quasi 200 i palestinesi uccisi durante scontri con la polizia o nel corso di attacchi dei coloni. Dieci volte di più quelli arrestati durante le retate. I blitz delle forze di difesa israeliane non sono mai “colpisci e scappa”. Dopo gli arresti e le sparatorie arriva il fuoco dei droni e le spallate dei bulldozer blindati, che distruggono le strade per punire i quartieri ribelli, mentre abbattono le case dei presunti jihadisti. Una nota del Servizio carcerario israeliano ha affermato nei giorni scorsi che «come parte dello sforzo bellico» sarebbe stato necessario applicare condizioni di detenzione più dure per i prigionieri politici. Il numero di palestinesi detenuti da Israele è salito a più di 7.800, tra cui circa 300 bambini e 72 donne, sostiene Qadura Fares, capo della Commissione dell’Autorità palestinese per gli Affari dei prigionieri.

Qawasmi, uno studente scarcerato nei giorni scorsi, era stato sottoposto a detenzione amministrativa. Poi la sua posizione è stata rivista. Ha raccontato di aver incontrato circa 70 altri detenuti, alcuni dei quali con lividi e quelli che lui definisce «segni di percosse». Le autorità non commentano le denunce. Ma i racconti di chi ha conosciuto le carceri israeliane raramente fanno da deterrente. Anche ieri mentre circolavano i video degli attacchi di Hezbollah con i razzi dal Libano, e da Gaza e dallo Yemen i guerriglieri lanciavano ordigni contro Israele, c’è stato chi ha inneggiato alla rivolta. Nelle stesse ore una colonna di carri armati israeliani è stata spostata da Gaza a Nord, in direzione del confine con il Libano. Ma per la notte sono state annunciate nuove retate nei territori occupati. Di solito al mattino dopo qualche altro palestinese mancherà all’appello.

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