martedì 28 dicembre 2010
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Con il coraggio che lo contraddi­stingue, Benedetto XVI ha di nuo­vo preso di petto la situazione dei cattolici in Cina e le violenze che esse su­biscono. Pechino ha risposto oscurando il messaggio papale trasmesso dalla Bbc e riversando nei suoi giornali calunnie sul Papa. Al Messaggio Urbi et Orbi – senz’al­tro fra gli eventi più ascoltati al mondo – il Pontefice ha pregato per i «fedeli della Chiesa nella Cina continentale, affinché non si perdano d’animo per le limitazio­ni alla loro libertà di religione e di co­scienza e, perse­verando nella fe­deltà a Cristo e alla sua Chiesa, mantengano vi­va la fiamma della speranza». Smascherando un atteggiamen­to attendista, ri­nunciatario quando non complice verso Pechino che è di­ventato assai dif­fuso in Occiden­te, atteggiamen­to che predica un migliora­mento nei diritti umani e religiosi nei confini della seconda potenza economica mondiale, egli ha manifestato invece tutte le diffi­coltà a cui i fedeli sono soggetti, dopo tut­te le aperture e le modernizzazioni an­nunciate dal regime. Per salvarsi dalla vergogna davanti agli oc­chi di tutto il mondo, il Dipartimento del­la propaganda ha cercato di bloccare la trasmissione tv del messaggio. Grazie al fatto che le trasmissioni via satellite ven­gono diffuse nel Paese con alcuni minuti di differita, ai censori cinesi è stato pos­sibile oscurare la denuncia sulle violazio­ni alla libertà religiosa dei cattolici in Ci­na. Il Papa non ha specificato le «limita­zioni». Ma alcuni giorni prima la Sala Stampa della Santa Sede aveva pubblica­to una nota sull’Ottava assemblea dei rap­presentanti cattolici cinesi, denunciando la deportazione di 40 vescovi a Pechino, costretti a partecipare a un gesto contra­rio alla fede cattolica. L’Assemblea dove­va infatti eleggere i presidenti dell’Asso­ciazione patriottica e del Consiglio dei ve­scovi, che hanno come ideale la costru­zione di una Chiesa indipendente dal rap­porto con la Santa Sede. Circa un mese fa il governo ha ordinato un vescovo a Cheng­de (Hebei) senza mandato del Papa. Le parole di Benedetto XVI si riferiscono alla Chiesa ufficiale, quella riconosciuta (e vigilata) dal governo, ma anche a quel­la sotterranea, che ha decine di sacerdo­ti in prigione o nei lager e due vescovi scomparsi da anni nelle mani della poli­zia. A tutti loro il Santo Padre chiede di non perdere la speranza e di rafforzare il coraggio.Le Messe celebrate a Natale han­no mostrato tale coraggio: migliaia di gio­vani, anche non cristiani, si sono assie­pati nelle chiese ufficiali per poter assi­stere alle cerimonie; molti sacerdoti sot­terranei, correndo il rischio di farsi arre­stare, non hanno desistito dal celebrare nei luoghi più impensati. Anche il rapporto fra i due rami della Chiesa, seppure con difficoltà, resiste al­la violenza del regime. L’ottava assemblea di Pechino aveva come scopo proprio quello di dividere Chiesa ufficiale e sot­terranea, diffondendo l’immagine di ve­scovi ufficiali usati come burattini. Inve­ce le diverse comunità hanno usato del­le feste di Natale per riconciliarsi. La co­sa non è piaciuta al governo che ha sfer­rato una nuova campagna sui media. Ie­ri, il Global Times , un giornale del Partito comunista, ha accusato Benedetto XVI di voler «dominare sui cattolici di tutto il mondo» e di voler soffocare la libertà dei cattolici cinesi, accusandolo di «fare po­litica ». Proprio come ai tempi di Mao, il perseguitato viene accusato di essere il persecutore.
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