martedì 19 dicembre 2023
Il Patriarca di Gerusalemme: finora si è cercata la pace con accordi dall'alto, ora si deve cambiare. La pace va preparata con la cultura, l'economia, nella società
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Dall’inviato a Gerusalemme

Di guerre, in oltre 30 anni in Terra Santa, ne ha già viste tante, ma «questa volta c’è qualcosa di diverso: un odio profondo con narrative opposte», constata il cardinale Pierbattista Pizzaballa: «Ci sono ferite profonde, ci vorrà tempo per ripensare il futuro».

Da tre settimane Israele e Hamas sono tornati a combattersi. Patriarca Pizzaballa, pensava che una tregua prolungata fosse possibile?

Lo speravo, ma in questo contesto è molto difficile fare previsioni: i cambiamenti sono repentini, è una guerra asimmetrica con pochi elementi chiari. Ma speravo che la liberazione degli ostaggi fosse un inizio di una modalità diversa di proseguire, ma purtroppo così non è stato.

In una bella lettera alla sua diocesi a fine ottobre invitava ad avere il «coraggio della pace», a non permettere che «odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore». Ora è ancora possibile, come lo state facendo?

Deve essere possibile! Se odio e rancore occupano tutto lo spazio del cuore significa dar la vita al male, a morte e distruzione. Noi spesso attendiamo grandi eventi che cambino il corso delle cose, ma che in realtà non ci saranno. Ma finché ci saranno persone che sono disposte a dare la vita per l’altro o a gesti di tenerezza, in questo mare di durezza anche emozionale, o disposti a fare anche qualcosa di bello, di costruttivo, significa che odio e rancore non hanno occupato tutto il nostro spazio esistenziale. E bisogna lavorare molto su questo.

A novembre lei ha lanciato un appello a chi vuole sostenervi in questa crisi, la Cei ora lancia la campagna “Osare la pace”. Come vi si può aiutare? Quali iniziative state elaborando?

A Gaza e in Cisgiordania ci sono due emergenze diverse. A Gaza è evidente, mancano acqua, viveri, gasolio. Non è il momento di pensare al dopo ma di gestire l’esistente. In Cisgiordania non ci sono più le due maggiori risorse: i pellegrinaggi e il lavoro in Israele. L’emergenza umanitaria si è aggravata: si deve sostenere chi ha perso il lavoro, assicurare assistenza sanitaria ai fragili. Lo scopo della campagna è di far capire alla nostra gente che ci siamo.

Come evolveranno gli interventi entro sei mesi?

Viviamo giorno per giorno, non sappiamo cosa resterà di Gaza. Potranno uscire? Potremo entrare? I Territori saranno riaperti? Sarebbe battere l’aria dire come sarà il dopo: sarà tutto diverso, dovremo sederci attorno a un tavolo per dare contenuto concreto alla parole di speranza e prospettive di fiducia.

Preghiera e solidarietà sono necessarie quanto la responsabilità politica. Come riprendere la via della pace?

Finora si è cercato di fare la pace con accordi politici dall’alto al basso. Ora è tempo di invertire le modalità: si sono firmati gli accordi di Oslo, ma non si è fatta una «campagna» culturale nelle scuole, nella famiglie, nel linguaggio. La pace deve essere preparata a livello culturale, economico, sociale e la politica deve fare la sintesi. Ci vorrà molto tempo.

Responsabilità anche internazionale. La bocciatura Usa di una risoluzione per una tregua è un nuovo muro sulla via della pace?

Anche se fosse stata approvata la risoluzione, nulla sarebbe cambiato qui. Però è evidente è che le organizzazioni internazionali sono molto deboli: lo vediamo qui, in Sud Sudan, in Ucraina...

È il Natale peggiore degli ultimi 50 anni. Quale parola viene in questo momento dalla Terra santa?

Il messaggio di Natale è sempre lo stesso, siamo noi che cambiamo, cambia la nostra comprensione. Anche nei momenti più terribili è possibile fare qualcosa di bello, ci sono sempre quei pochi che resistono. Penso sempre, in questo periodo, al “Beati i miti, perché erediteranno la terra”: la terra, non il regno dei cieli. Noi oggi siamo non quello che i grandi della Tera hanno distrutto con le loro guerre, ma quello che i miti, giorno dopo giorno, hanno costruito.

Che «grido di intercessione» si leva da Gerusalemme?

Lo stesso di sempre: intercedere perché il dolore sia ascoltato non in cielo, dove lo è sempre, ma qui sulla terra e possa cambiare il cuore degli uomini, soprattutto di coloro che prendono le decisioni.

Luca Geronico

© riproduzione riservata

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