venerdì 22 agosto 2014
Era molto vicino ai gesuiti il giornalista americano ucciso dall'Isis. Perché proprio in un ateneo gesuita si era formato: la Marquette University, di Milwaukee ( Wisconsin), dove si era laureato nel 1996.
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A sorpresa, Papa Francesco ieri ha telefonato a John e Diane Foley, i genitori del giornalista James Foley, brutalmente ucciso dall’Isis. Il Pontefice, ha riferito il sacerdote gesuita americano James Martin, ha raggiunto i Foley nella loro casa del New Hampshire. «La famiglia è commossa e grata», ha riferito padre Martin su Twitter. Era molto vicino ai gesuiti, James. Perché proprio in un ateneo gesuita si era formato: la Marquette University, di Milwaukee ( Wisconsin), dove si era laureato nel 1996. Ciro Benedettini, vicedirettore della Sala Stampa Vaticana, riferisce di questo toccante momento: "Il Santo Padre ha voluto dimostrare la sua vicinanza a questa famiglia provata dal dolore. In particolare, ha parlato all’inizio con la madre, che è cattolica, e che ha dimostrato una grande fede, che ha in qualche modo impressionato anche il Santo Padre. Ha parlato poi con il padre, e poi con un membro della famiglia di lingua spagnola e quindi il Santo Padre ha potuto parlare in spagnolo. Ovviamente, l’auspicio di tutti, del Santo Padre e della famiglia è che questi tragici fatti non si ripetano”.Adesso, nel campus sulla collina che guarda sul Lago Michigan, sono ore di raccoglimento e preghiera. Perché fra le mura venate d’edera, il ricordo dell’uomo Foley resta forte almeno quanto quello del reporter pronto a coprire i fronti più difficili. E fra i pilastri dell’uomo, c’era una profonda fede di cui James Foley non faceva mistero. In Europa, è stato il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione e primate delle Gallie, a sottolineare su Tgcom24 questa dimensione saliente di Foley. Il reporter americano «recitava il rosario tutti i giorni» e sperava sempre di poter «dedicare il suo tempo al dialogo interreligioso», ricorda l’arcivescovo di Lione, appena reduce da una trasferta in Iraq. A pensarci bene, il fatto che a ricordare la fede del reporter di frontiera uscito da Marquette sia il primate delle Gallie, può sembrare persino un ritorno alle origini. Marquette sta infatti per il gesuita francese seicentesco Jacques Marquette, partito alla volta dell’America e appassionato delle frontiere missionarie al punto da essere poi rimasto pure nei manuali americani di geografia come scopritore delle sorgenti del Mississipi. Nel 2011, in una missiva inviata a Marquette dopo il sequestro di cui era stato vittima in Libia, Foley ricorda con commozione tutte le esperienze formatrici di volontario nel sociale compiute come studente dell’università, dichiarando poi: «Ma se penso a quando ero imprigionato come giornalista, ebbene, Marquette non mi è mai stata forse così tanto amica». Foley evoca il ruscello della preghiera nel buio di quel sequestro: «Cominciai a recitare il rosario. È ciò che mia madre e mia nonna avrebbero pregato». Durante quella prova, coinvolse pure una compagna di sventura: «Clare ed io pregavamo assieme ad alta voce. Ci dava energia parlare assieme delle nostre debolezze e speranze, come in una conversazione con Dio, piuttosto che restare soli e silenziosi». Nel sito dell’Università, questo ed altri testi di Foley continuano ad essere ricoperti adesso da una pioggia continua di commenti. Al telefono, raggiungiamo uno dei suoi maestri, il professor Hubert Law, a capo del dipartimento di Giornalismo per il cambiamento sociale. È anche lui estremamente commosso: «Siamo distrutti. Era un uomo molto buono, per nulla interessato alla celebrità, mosso solo da un impegno generoso. Preghiamo per lui e la sua famiglia. Speriamo che gli studenti imparino dal suo esempio».
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