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Donald Trump - Reuters
Peccato. Barack Obama l’aveva ricevuto anticipatamente e sulla fiducia il Premio Nobel per la Pace nel 2009 “per la sua visione di un mondo senza armi nucleari e per il suo lavoro nel promuovere la non proliferazione nucleare” (Sic). Glielo avevano consegnato poco dopo l’ingresso alla Casa Bianca dove aveva ereditato ma continuato la presenza militare in Afghanistan e Iraq, aveva ordinato l’uccisione di Benladen e altro ancora fino alla promessa di chiudere il carcere cubano di Guantanamo, che è ancora aperto e che Trump usa come una sorta di eremo albanese per i migranti latinos da ricacciare a casa.
Non va negato che anche il tycoon ci sperava, quantomeno per scacciare il fantasma del suo predecessore democratico: l’aveva detto, subito prima della rielezione, che in “ventiquattro, quarantotto ore" avrebbe fatto finire la guerra in Ucraina, poi in Medio Oriente e per questo “si sarebbe meritato il Premio Nobel per la pace”. Così, tra la sincera ironia e l’ennesima occasione di parlare di sé (comunque), stanotte ha dovuto ammettere che i giganteschi risultati che ha raggiunto nel campo dei diritti umani e della pace sembrano non sufficienti a centrale l’obiettivo di portarsi a casa medaglia e pergamena da Oslo.
Ha esordito così sul suo social Truth: “Sono molto lieto di annunciare di aver stipulato, insieme al segretario di Stato Marco Rubio, un meraviglioso trattato tra la Repubblica democratica del Congo e la Repubblica del Ruanda, in una guerra che è stata nota per il violento spargimento di sangue e la morte, più di qualsiasi altra guerra, e che si protrae da decenni. I rappresentanti del Ruanda e del Congo saranno a Washington per firmare i documenti. Questo è un grande giorno per l'Africa e, a dirla tutta, un grande giorno per il mondo". Non serve una grande conoscenza dei fatti africani per conoscere la realtà (inversa dei fatti). Basta leggere i siti che si occupano del Continente, o quelli dei media anglosassoni che fanno opinione, per scoprire che il Ruanda, da tutti, è accusato di aver agito per conto americano (come fa da tempo) utilizzando le milizie domestiche dell’M23 per occupare le regioni del Nord e Sud Kivu, le più ricche di terre rare e minerali speciali. Oltre all’oro. Per questo l’azione di invasione, tenace e sanguinosa, dell’M23 si è fermata solo quando Kinshasa ha accettato di firmare un accordo per lo sfruttamento di aziende americane di queste risorse, scalzando i precedenti acquirenti cinesi. Così la firma della prossima settimana non sarà che la stipula non di una pace (sulla pelle delle migliaia di vittime della regione più insanguinata) dell’Africa centrale, ma di un altro contratto commerciale travestita da azione di pacificazione.
"Non riceverò' un premio Nobel per la pace per questo – ha proseguito stanotte Trump riferendosi al Congo - e non riceverò' un premio Nobel per la pace neanche per aver fermato la guerra tra India e Pakistan (anche qui basterebbe pensare che, per la verità, il ruolo rivestito dagli Usa è stato (a essere generosi) sicuramente marginale rispetto a quello cinese che è il nuovo competitor e “primo attore” nella regione) e ha una grande influenza geopolitica. Islamabad resta comunque fedele al tycoon, al punto che ieri il governo "ballerino" si è sentito in obbligo di rincarare la dose: ha "formalmente raccomandato" il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump per il Premio Nobel per la Pace 2026, citando il suo "decisivo intervento diplomatico" durante la recente crisi indo-pachistana. Delhi, come costume anche dell'alleato (ormai di ferro) di Pechino, ha taciuto restando seduta sulla classica riva del fiume e aspettando tempi migliori per riprendere lo scontro d'alta quota nella regione del Kashmir che dura dalla partizione britannica del 1947.
“Non riceverò' un premio Nobel per la pace per aver fermato la guerra tra Serbia e Kosovo: forse con la semplice visita del presidente serbo Vucic a Belgrado? E i non rapporti con Pristina? E stato sufficiente questo a fermare una “guerra” che altro non è che il seguito con altri mezzi dello scontro che insanguinò la regione nello scorso decennio?
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Donald Trump - Reuters
La lista dei successi non si ferma qui. “Non riceverò – ha denunciato languidamente - un premio Nobel per la pace per aver mantenuto la pace tra Egitto ed Etiopia (scontro “a bassa intensità” ancora in atto da dieci anni e pronto a scatenare prima o poi una vera guerra dell’acqua del Nilo (ostruito dalla diga di Addis Abeba) e del dominio sul mare. Ma anche in queste ore tra il presidente egiziano al-Sisi, sicuramente da anni lontano dall’orbita Usa, e il premier etiope Abiy non corre buon sangue.
Il pezzo forte è anche invece attualità: Non “riceverò un premio Nobel per la pace per aver stipulato gli Accordi di Abramo in Medio Oriente che, se tutto va bene, saranno pieni zeppi di nuovi Paesi che vi aderiranno e unificheranno il Medio Oriente per la prima volta nella "storia". Accordi tanto saldi e mai portati a temine che l’attuale conflitto con l’Iran sta erodendo dalle fondamenta.
Ma è nella conclusione che Trump si supera: "No, non riceverò' un premio Nobel per la pace, non importa cosa faccio, inclusa Russia/Ucraina e Israele/Iran, qualsiasi siano questi esiti, ma la gente lo sa, e questo è tutto ciò che conta per me". Buona parte dell’America (anche se i sondaggi cominciano a scricchiolare) ci crede. E i tanti fan delle destre europee e dei governi-specchio fanno altrettanto. Per le candidature c’è comunque ancora tempo: The Norwegian Nobel Institute, Drammensveien 19, 0255 Oslo, Norway.