La bomba sciita e lo specchietto per le allodole
mercoledì 18 giugno 2025

E se fosse il grande inganno? L’immancabile specchietto per le allodole mediatiche che ogni guerra produce serialmente da quando ciò che si racconta vale più di quanto si fa? Una malignità che sembra convincere tanti. Quantomeno il dubbio è legittimo, vista la “mitizzazione” che i media, più o meno compiacenti, stanno dando del sito nucleare iraniano di Fordow, nell’area di Natanz.

Il Berghof, tristemente nota memoria come impenetrabile eremo alpino salisburghese di Adolf Hitler, al confronto sembra un comodo rifugio della Valle Brembana. Nel sito più “segreto” del programma nucleare si sta fabbricando la bomba nucleare, dicono tutti. Nel giro di pochi giorni secondo la narrativa di Netanyahu, non prima di tre anni per l’intelligence statunitense. Nel cuore del Berghof in salsa persiana si fabbrica la bomba a ottanta metri di profondità: un tetto di dura roccia rafforzata dal cemento armato del sito. Un mantello che solo la “innovativa e straordinaria” (per usare l’espressione di qualche narratore entusiasta) tecnologia degli ordini bellici statunitensi può forare: la Gbu-57, la Massive Ordinance Penetrator. L’uso della quale porterebbe automaticamente l’America di Trump in guerra, senza neanche passare dal Congresso. E trasformando il Paese in potenziale bersaglio con tutte le reazioni e conseguenze più volte minacciate. Tredici tonnellate di missile capaci di penetrare fino agli 80 metri di protezione naturale e artificiale del sito iraniano Fordow.

I fanatici della guerra dimenticano però che tutto ciò esiste da almeno vent’anni. Che gli americani hanno affinata questa tecnologia quando davano la caccia a Saddam nei bunker iracheni e Benladen nelle caverne di Tora Bora.

Descrivere la distruzione di Fordow come la “madre di tutte le battaglie”, la soluzione a tutti i problemi, la fine del programma nucleare iraniano sotto migliaia di tonnellate di granito, è fumo negli occhi che può convincere i disattenti, è distrazione di massa contro la distruzione di massa che il nucleare iraniano costituirebbe come pericolo. Non certo però i tecnici e gli esperti, che in queste ore stanno spiegando che l’Iran ha altri laboratori segreti. Meno evocativi ma più efficaci.

Inoltre: da almeno dieci giorni i tecnici, i “consulenti russi” e i pasdaran hanno avuto tutto il tempo per svuotare di tecnologie più preziose e uranio più che arricchito l’impianto sotterraneo. Dove sia ora quel materiale solo pochi lo sanno. Anche perché in queste ore il regime sta amaramente scoprendo a sue spese che di orecchi e occhi indiscreti l’intero programma è permeato.

Distruggere il simbolo di Fordow e così dichiarare fermato per sempre il programma atomico iraniano sarà probabilmente l’annuncio che Netanyahu o l’America di Trump faranno pubblicamente. Dietro le quinte ciò che resta veramente, senza il “change” al potere tanto evocato e vero scopo dell'attacco all'Iran, sarà purtroppo invece qualcosa che continuerà a dimostrare che la soluzione militare non può che avere come risultato una reazione uguale e contraria.

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