domenica 23 agosto 2009
L'uccisione di un leader indù il 23 agosto 2008 scatena la persecuzoine contro la minoranza cristiana usata come capro espiatorio. 70 morti, 20 mila feriti, 50 mila sfollati. Il contagio fondamentalista si estese ad altri Stati indiani. A un anno dalle violenze degli indù ventimila sono sfollati e mendicanti.
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Era e sarebbe dovuto rimanere un evento locale, parte delle tante violenze che quo­tidianamente scuotono l’India, forse par­te di una faida interna al movimento nazionali­sta oppure davvero un atto di 'liberazione' del­la guerriglia contraria all’oppressione socio-reli­giosa ed economica sui tribali e fuoricasta. Inve­ce l’uccisione, la notte del 23 agosto dell’anno scorso in un villaggio dell’Orissa, di Laxmanan­da Saraswati, autoelettosi 'swami' (maestro di fe­de) divenne spunto per la caccia ai cristiani. Lo swami era infatti al centro di una connessione tra interessi politici, economici, personali sotto la copertura dell’hinduttva (induità), dell’estre­mismo religioso che cerca continuamente moti­vi per una vera e propria pulizia etnica col prete­sto della fede. Inutile l’attribuzione data imme­diatamente ai guerriglieri naxaliti, maoisti, co­me poi avrebbero essi stessi confermato in più oc­casioni. Occorreva trovare un capro espiatorio e, se non direttamente colpevoli, i cristiani dove­vano essere almeno mandanti dell’assassinio del 'sant’uomo' e di quattro personaggi a lui vicini. Così, nei giorni successivi, l’Orissa ha vissuto la peggiore persecuzione anticristiana della storia dell’India post-coloniale. L’intero distretto di Kandhamal, area a prevalenza tribale, venne at­traversato da violenze senza precedenti: almeno 70 i morti, secondo le fonti ecclesiali, 4.500 abi­tazioni date alle fiamme, 50mila gli sfollati, qua­si 20mila feriti. Intere famiglie bruciate vive, ca­se e raccolti dati alle fiamme, stupri, torture, spa­rizioni. Che non hanno risparmiato uomini e donne di Chiesa: molti i sacerdoti e le suore ag­grediti, nei villaggi o nell’assalto a 150 edifici re­ligiosi andati distrutti; altri dispersi e mai più ri­trovati. Sei i pastori protestanti uccisi. Come ricorda anche monsignor Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar so­to la cui giurisdizione si trova il Kandhamal: «I religiosi sono stati l’obiettivo principale dei fon­damentalisti, che hanno scatenato la loro sadica brutalità su sacerdoti e suore, arrivando persino ad uccidere, come nel caso del nostro padre Ber­nard Digal, morto per le percosse subite». Tuttavia il contagio fondamentalista doveva e­stendersi nei mesi successivi anche ad altre aree fuori dall’Orissa, controllato con difficoltà dalle forze dell’ordine e dai governi locali, sovente re­stii ad applicare con decisione la legge per timo­re di dispiacere alle forze politiche che cavalca­no da sempre il radicalismo religioso. Non a ca­so si doveva registrare una ripresa delle persecu­zione durante la campagna elettorale per le ele­zioni locali e nazionali che, avviate in autunno e conclusesi a maggio di quest’anno, dovevano ri­portare al potere in diversi stati e rafforzarne la maggioranza a livello centrale il Partito del Con­gresso guidato da Sonia Gandhi. Ora l’Orissa è tornato a fronteggiare i problemi di sempre che sono soprattutto povertà, sotto­sviluppo, ma anche assedio di troppi interessi al­le terre tribali e a chi, a partire dalla Chiesa loca­le, della difesa dei deboli ha fatto una risposta concreta alla chiamata evangelica. In un certo senso, la tragedia dell’Orissa, il mar­tirio di tanti suoi figli, ha restituito visibilità alla discriminazione cui sono fatti oggetto i cristiani nell’immenso Paese asiatico e l’avvio di una ri­flessione sullo status delle sue minoranze reli­giose.Non tutto è risolto, oggi, in Orissa e nel Kandhmal. Resta tanta paura per i fatti del re­cente passato; restano l’incertezza del futuro e ancora troppi problemi aperti. «La situazione è ancora terribile – dice padre Manoj Nayak, sa­cerdote tribale –. Sappiamo che circa 20mila cri­stiani vivono come sfollati o mendicanti in varie città dell’Orissa e anche in Stati limitrofi, ma al­cuni persino a Mumbai o a Delhi. Molti sono an­cora in ghetti per cristiani creati dal governo pre­so alcuni centri abitati, non essendo in grado di proteggerli in un loro eventuale ritorno ai villag­gi d’origine» Occorre tuttavia guardare oltre, perché la convi­venza torni ad essere una realtà, ma su basi e con consistenza nuove. «Per il 23 agosto abbiamo in­detto il ’Giorno della pace e dell’armonia’, perché fatti come l’uccisione dello Swami Laxmananda Saraswati e le violenze anti-cristiane non devo­no accadere mai più – ricorda ancora monsignor Cheenath –. Dobbiamo combattere le tendenze che generano tali crimini estremi. Dobbiamo la­vorare per l’amore, che significa lavorare per la pace».
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