venerdì 22 marzo 2024
La violenza, giunta a un livello inedito, non scoraggia l'impegno per l'isola e il suo popolo della Chiesa italiana: «Moltiplichiamo gli sforzi per sostenerli»
Il cardinale Chilby Langlois, vescovo di Les Cayes

Il cardinale Chilby Langlois, vescovo di Les Cayes - Ansa

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Diciassettemila persone in fuga, decine di cadaveri per le strade che nessuno conta, interi pezzi di Port-au-Prince senza più acqua potabile né cibo e senza possibilità di procurarseli. L'ultimo capitolo dell'interminabile guerra haitiana ha raggiunto un livello di intensità inedita perfino per i tragici parametri locali. La "rivolta delle gang", riunite nell'alleanza "Viv Ansanm" (vivere insieme), ha distrutto anche il simulacro di istituzioni, facendo sprofondare il Paese nel caos totale. La violenza, però, non scoraggia la Chiesa italiana, il cui impegno nei confronti del Paese si è articolato negli anni. «Il momento è difficile e, così come in ogni situazione di emergenza, non sempre è possibile assicurare come si vorrebbe la nostra vicinanza, ma proprio per questo dobbiamo tenacemente andare in questa direzione e moltiplicare gli sforzi per sostenere persone, organizzazioni e comunità che continuano a seminare e che si pongono al servizio dei più poveri alimentando una cultura della cura e delle relazioni solidali», si legge in "Haiti, un popolo che ha fame di speranza", il dossier appena pubblicato dal Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli e l'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana (Cei).

Dopo la Colletta straordinaria in occasione del maxi-terremoto del 2010 - con la quale sono stati raccolti e destinati a programmi di solidarietà 25 milioni di euro, mediante Caritas italiana, in collegamento con la Caritas e la Chiesa locale -, solo negli ultimi dieci anni, la Cei ha sostenuto, attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, 70 progetti di emergenza e sviluppo per quasi 11 milioni di euro. Iniziative volte a gettare un seme, a tessere un filo, innescare processi che procedono con ostinazione, spesso in forma carsica, pur nel mezzo delle emergenze. «Per la Chiesa italiana è un immenso privilegio potersi mettere al fianco di questi semi e ponti di speranza per le comunità cristiane locali di Haiti, e per quanti ogni giorno hanno il difficile compito di rigenerare l’amore, impegnandosi accanto ai più poveri come artigiani di pace e di fraternità, affinché ogni persona trovi il riconoscimento e la promozione della propria dignità».

Il momento è cruciale. I negoziati per la creazione di un Consiglio presidenziale di transizione - che assuma le redini del Paese dopo le dimissioni del premier Ariel Henry - procedono serrati. Secondo fonti Usa, le diverse forze politiche chiamate a comporlo avrebbero raggiunto l'accordo. Un primo spiraglio. L'annuncio potrebbe arrivare già oggi, giorno in cui Il Consiglio episcopale del Continente (Celam), la Conferenza dei religiosi e delle religiose (Clar) e la Caritas latinoamericana invitano i cattolici a un a giornata di digiuno e preghiera per l'isola. «Todos con Haiti», tutti con Haiti, è lo slogan dell'iniziativa.


Maiali per le strade di Port-au-Prince dilaniate dalla violenza delle gang

Maiali per le strade di Port-au-Prince dilaniate dalla violenza delle gang - Reuters


La testimonianza del cardinale Chilby Langlois

Il cardinale Chilby Langlois, nell'intervista contenuta all'interno del rapporto, ha voluto lanciare un appello alle gang e ai loro referenti politici a mettere fine alla violenza.

Eminenza, la Conferenza episcopale haitiana ha affermato che l’isola sta scivolando verso la guerra civile. Perché pensate questo?

Questa dichiarazione della Conferenza episcopale haitiana è una constatazione: «In varie zone del Paese infuria una guerra a bassa intensità contro una popolazione pacifica e disarmata». In primo luogo già lo scontro tra bande armate può essere definito come una guerra civile, perché si tratta di civili armati che si uccidono a vicenda per conquistare territori. Inoltre, queste bande armate infieriscono contro una popolazione disarmata. Uccidono, violentano, rubano, bruciano e provocano centinaia di migliaia di sfollati. Infine, in alcuni quartieri, i residenti, presi dalla paura, si organizzano erigendo barriere di ogni tipo e usando le armi per proteggersi
da queste bande armate. Sono tali considerazioni che spingono la Conferenza episcopale haitiana a lanciare questo grido di allarme.
Ritiene che l’istituzione del Consiglio di transizione potrebbe aiutare a risolvere la crisi?
Nel nostro Paese abbiamo avuto l’esperienza di Consigli che non hanno dato frutti o che non hanno funzionato, perché la figura più importante o che si cerca a livello politico è il presidente. La crisi attuale è profondamente segnata dalla grande difficoltà degli attori o dei partiti politici che non riescono a trovare un accordo. Alcuni sono feroci avversari o nemici giurati. A tutto ciò si aggiunge il fatto che questa crisi è alimentata anche da attori internazionali. Dubito fortemente che un Consiglio di transizione possa aiutare a risolvere questa crisi se non ci sarà una presa di coscienza degli attori politici, una conversione delle persone, un’unione dei figli e delle figlie del Paese attorno ad un piano di salvezza nazionale. Questo richiederà anche un forte sostegno da parte della comunità internazionale.
Quali dovrebbero essere le priorità concrete del Consiglio di transizione?
Qualsiasi entità chiamata ad assicurare la transizione ad Haiti ha come priorità, nel tempo stabilito, lo svolgimento delle elezioni.
Questa sarà anche una delle priorità del Consiglio di transizione con tutto ciò che comporta come prerequisiti o requisiti. Ma la
priorità assoluta in questa crisi è senza dubbio la sicurezza della popolazione contro le bande armate. È catastrofico e terrificante
ciò che queste bande armate ci stanno facendo passare ad Haiti. C’è chi definisce il Paese come una prigione a cielo aperto.
Queste bande armate assediano soprattutto Port-au-Prince, la capitale del Paese. Tuttavia, l’intero Paese soffre. La maggior
parte della popolazione è impoverita. Un’alta percentuale muore di fame. Questa drammatica realtà di una popolazione affamata
e impoverita deve, tra le altre cose, far parte delle priorità di questo Consiglio di transizione….
Crede che una missione internazionale sia utile ad Haiti?
Attualmente non è possibile uscire dalla spirale di violenza che si sta diffondendo ad Haiti, in particolare a Port-au-Prince, senza
l’intervento di una missione internazionale. Proprio nel momento in cui rispondo a questa domanda, nella Capitale si stanno
verificando scene di saccheggi e si sentono detonazioni, con armi pesanti, di grosso calibro. Un organismo che garantisca
la transizione alla guida del paese non potrà fare nulla senza il sostegno di una forza internazionale.
Che tipo di aiuti chiede Haiti al mondo?
È chiaro che, alla luce delle mie risposte alle domande precedenti, il tipo di assistenza urgente di cui abbiamo bisogno è di ricevere il supporto e i mezzi adeguati per ripristinare la sicurezza, assicurare stabilità, proteggere vite umane e proprietà. Il Paese ha bisogno di ristabilire l’autorità statale attraverso il rafforzamento delle istituzioni democratiche. Occorrerà anche contribuire a creare occupazione e lavoro, affinché gli haitiani possano vivere con dignità grazie ai frutti del loro lavoro. Bisogna considerare che Haiti non si è ancora ripresa dai terremoti del 2010 nell’ovest e del 2021 nel sud del Paese. Adesso arrivano i disastri delle bande armate. Dobbiamo rialzarci e prendere in mano la situazione.
Come sta cercando la Chiesa di restare vicina alla popolazione in questo momento tragico?
Non c’è modo migliore per la Chiesa di essere vicina alla popolazione in questo tragico momento che restare con e tra
coloro che soffrono. Le celebrazioni realizzate dai sacerdoti nelle parrocchie, dove è possibile celebrare, diventano luoghi e
incontri di consolazione, guarigione, conforto e speranza. Ambiti pastorali come le scuole, i centri di formazione, i centri sanitari,
gestiti da religiosi e religiose, da laici, rimangono luoghi e segni di vicinanza della Chiesa. A tutto ciò si aggiungono i messaggi
dei Vescovi che spesso sfidano gli attori politici, denunciano, esortano o incoraggiano al momento opportuno a intraprendere
la strada della saggezza. A titolo di esempio, ricordo la nota della Conferenza episcopale haitiana, pubblicata l’8 febbraio 2024, dove abbiamo detto: «Testimoni della miseria e della sofferenza dei nostri concittadini nei dieci dipartimenti del Paese, noi, vescovi della Conferenza episcopale haitiana, lanciamo un vigoroso appello al primo ministro, Ariel Henry, affinché si renda conto della
gravità della situazione attuale e prenda una saggia decisione per il bene dell’intera Nazione, gravemente minacciata nelle sue
stesse fondamenta». Colgo l’occasione per ringraziare di cuore Sua Santità Papa Francesco per i suoi molteplici interventi e le sue preghiere a favore di Haiti. Il popolo si sente amato dal nostro caro Papa e la Chiesa di Haiti trova ancora più forza nell’essere vicina alla popolazione in questo momento così difficile.
Anche la Chiesa è colpita dalle violenze. Perché è vicina al popolo?
Presente tra la gente, anche la Chiesa attraverso i suoi membri o le sue istituzioni è vittima di atti di violenza e di sequestri, proprio
perché, nonostante la situazione insostenibile e catastrofica, i sacerdoti, i religiosi e i laici non si sono tirati indietro. Vivono e condividono con la popolazione la realtà di ogni giorno. Bisogna inoltre sottolineare che è diffusa l’idea che le nostre istituzioni e i loro leader, in questo caso i sacerdoti, i religiosi e le religiose, posseggano beni e denaro. La povertà è così evidente che anche un’opera ecclesiale, come una chiesa o una scuola, costruita per durare o resistere nel tempo, può essere vista da alcuni individui come un luogo dove si nascondono fortune, mentre queste opere ecclesiali sono al servizio della popolazione. In sintesi, è proprio perché la Chiesa è così presente e fa tutt’uno con la popolazione che è colpita anche da questa violenza
che non risparmia nessuno.
Se potesse inviare un messaggio alle bande e al loro leader Jimmy Chérizier, cosa chiederebbe?
Sarebbe un messaggio rivolto non solo a tutti i gruppi armati ma anche a coloro che li sostengono: «La violenza genera violenza, l’odio genera altro odio e la morte altra morte. Ogni morte violenta ci svilisce come persone. Quindi poniamo fine a questi atti violenti. Cercate il benessere che desiderate nella costruzione di un’Haiti fatta di giustizia, pace e prosperità».
C’è un piccolo segno di speranza che vorrebbe condividere con noi?
Il segno della speranza si trova nello stesso popolo haitiano. È un popolo che chiede e cerca solo di vivere. E spera che ciò che cerca si avveri domani, se oggi è impossibile trovarlo: ci piace ripetere «la speranza dà la vita» oppure «domani sarà migliore».
Vedo in questi conflitti e in queste lotte un popolo alla ricerca di ciò che può farlo vivere. Tuttavia non abbiamo ancora trovato
la strada. Insieme a queste persone che pregano e cantano la loro miseria, faccio questa invocazione: Signore, mostraci la strada che porta ad una Haiti dove possiamo finalmente vivere in pace, stabilità e prosperità.

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