martedì 31 maggio 2022
Lo stop al petrolio potrebbe essere troppo dilazionato per essere efficace. Biden sembra esitante tra le due anime della sua Amministrazione. E sul campo la Russia ora conquista altre posizioni
Guerra giorno 97: Ue punta sulle sanzioni, la Casa Bianca divisa sulla linea
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Il giorno 97 della guerra in Ucraina indica che la crisi si snoda su più fronti e che il campo di battaglia non è l’unico scacchiere dove si gioca la partita decisiva. Al vertice di Bruxelles, l’Unione Europea trova in extremis un accordo per il nuovo pacchetto di sanzioni.

Le più rilevanti sono il blocco dell’importazione di petrolio via mare dalla fine dell’anno e l’esclusione dal sistema bancario Swift di Sberbank, il primo istituto di credito russo. Sull’altro versante dell’Oceano, alla Casa Bianca sono contrapposte due linee, tra cui oscilla lo stesso presidente Biden. Il tutto mentre sul terreno la città chiave di Severodonetsk, nel Donbass, si trova in queste ore divisa a metà tra il controllo di Kiev e quello di Mosca.

Il sesto round di misure contro la Russia fa compiere un passo avanti nel tentativo di ridurre gli introiti provenienti dalla vendita del greggio. Resta fuori dal bando l'oleodotto Druzhba, che rifornisce l'Ungheria ma anche Germania e Polonia. Ha ottenuto una deroga di 18 mesi la Repubblica Ceca. Per tutti gli altri il divieto sarà in vigore entro fine 2022. Anche l’Italia dovrà quindi cercare fornitori alternativi. La mossa avrà una certa efficacia nel medio termine. Sarebbe stato molto costoso e complesso rinunciare improvvisamente agli approvvigionamenti, ma in questo modo si dà tempo al Cremlino di provare a chiudere il conflitto nei prossimi mesi con altre conquiste territoriali.

Il premier Mario Draghi ha detto che l’efficacia delle sanzioni comincerà a vedersi chiaramente durante l’estate. Gli analisti russi fanno mostra di sicurezza di fronte alle decisioni della Ue. A loro avviso, il prezzo salirà e in questa fase Mosca guadagnerà di più. L’anno prossimo dovrà trovare nuovi acquirenti, ma le quotazioni resteranno alte. I Paesi europei invece avranno problemi e comunque pagheranno di più. Lo scenario sembra ottimistico, perché non sarà facile per la Russia piazzare lungo altre direttrici l’intero quantitativo oggi venduto a Ovest. Inoltre, le misure economiche mordono già l’economia. Lo riportano gli stessi media moscoviti, come ha riferito la Bbc. L’industria energetica soffre per la mancanza di pezzi di ricambio e, in generale, tutto il settore tecnologico sperimenta rallentamenti. Ambiti più prosaici, come l’arredo bagno, hanno visto i prezzi raddoppiare, compresi i sanitari, che erano prodotti con materie prime provenienti dall’Ucraina.

Oltre alle finanze contano gli armamenti, e di questo si parla a Washington in questi giorni. Il segretario di Stato Antony Blinken, notoriamente “interventista”, sembra incarnare la linea dura, quella che vuole consentire a Zelensky di difendersi pienamente e, se non vincere la guerra, almeno evitare che Mosca si mangi altre zone dell’Ucraina. Sull’altro versante si colloca il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, più preoccupato di non forzare la mano a Putin nel timore di un’escalation e fautore del dialogo (è stato uno degli artefici dell’accordo sul nucleare con l’Iran). Il presidente Biden nelle scorse settimane sembrava orientato sul primo scenario, con i duri attacchi verbali al capo del Cremlino e il varo di un amplissimo pacchetto di aiuti economici e militari per Kiev.

Negli ultimi giorni, quando fonti ben informate davano per sicura la fornitura di postazioni lancia missili a lunga gittata che possono permettere all’esercito ucraino di non essere martellato dall’artiglieria russa, superiore per potenza, il presidente ha detto invece di essere contrario, nel timore che le nuove armi siano usate per colpire il territorio russo. Una dichiarazione che ha raccolto il plauso dei vertici di Mosca.

Sarà a questo punto fondamentale per l’evoluzione della crisi la strategia che gli Stati Uniti adotteranno, anche per disegnare una possibile uscita negoziale dalla guerra guerreggiata. Incombono le elezioni di novembre e anche nell’opinione pubblica americana le spaccature sono evidenti. Il “New York Times” aveva dato voce a una sinistra liberal favorevole a un negoziato che prevedesse concessioni da parte di Zelensky, contro la linea della Casa Bianca. Ora il “Wall Street Journal”, vicino ai repubblicani, spinge per azioni chiare e senza ambiguità in sostegno del Paese aggredito. Non è però la posizione dei trumpiani, molto più teneri con Putin.

Anche le Forze armate sono rimaste spiazzate dall’apparente cambio di rotta di Biden, sollecitato invece a essere più determinato pure nella questione del grano, che minaccia di alienare le simpatie all’Occidente di molti Paesi asiatici e africani, benché il blocco delle esportazioni sia da addebitare alla Russia. E proprio dalla Russia arrivano decisioni e propaganda che suscitano allarme diffuso. Da una parte, la dichiarata adottabilità dei bambini ucraini orfani o senza le cure dei genitori rimasti nelle zone occupate o portati già oltre confine. Dall’altra parte, il numero degli ucraini che verosimilmente verranno uccisi nell’operazione militare speciale. In un programma della tv di Stato, un deputato della Duma ha parlato di due milioni di persone e nessuno ha minimamente obiettato a questa cifra mostruosa, nemmeno il conduttore, anch’egli un membro del Parlamento.


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