mercoledì 8 giugno 2022
L’ex cancelliera rivendica le sue politiche di dialogo con il Cremlino. Con il senno di poi, forse si poteva fare meglio. Intanto i combattimenti continuano e il rabbino ha dovuto lasciare Mosca
Guerra giorno 105, la storia riscritta da Merkel e la pace che resta lontana
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Si può riscrivere la storia con i “se”? L’interrogativo è sempre aperto per gli studiosi. Che cosa sarebbe accaduto se Giulio Cesare non fosse stato ucciso il 15 marzo del 44 a. C.? Che sviluppo avrebbe avuto l’Italia se nel referendum del 1946 avesse vinto la monarchia sulla repubblica?

Anche per la guerra in Ucraina, giunta al 105° giorno, ci si può porre una domanda ipotetica rispetto alla condotta recente della Germania. Lo spunto interessante viene dall’ex cancelliera Angela Merkel, che ha difeso la sua eredità diplomatica, respingendo le accuse secondo cui le sue politiche estera ed economica negli ultimi 16 anni sarebbero state troppo morbide verso Putin e quindi indirettamente responsabili dell'invasione, lasciando campo libero all’imperialismo post-sovietico.

Nella sua prima intervista pubblica da quando ha lasciato l'incarico a dicembre, Merkel ha sostenuto che il presidente russo avrebbe conquistato completamente l’Ucraina molto prima se lei e altri leader Ue non avessero preso decisioni controverse, come il blocco della candidatura dell'Ucraina alla Nato nel 2008 o gli accordi di pace di Minsk nel 2014 e 2015 (raggiunti con il contributo di Berlino e Parigi), che Kiev considerava svantaggiosi per la propria sicurezza.

"Non mi do la colpa", ha detto Merkel. "Ho cercato di lavorare nella direzione di prevenire i problemi. E se la diplomazia non ha successo, non significa che sia stata sbagliata. Quindi, non mi scuserò". Merkel - che ha condannato l'invasione di Putin come "un'aggressione brutale in spregio al diritto internazionale per la quale non ci sono scuse di alcun tipo" - ha anche espresso una cauta autocritica. Ha infatti detto di non essere riuscita, durante il suo mandato, "a creare un'architettura di sicurezza che avrebbe potuto evitare che la guerra scoppiasse".

Oggi l’ex cancelliera dice che Putin capisce solo la linea dura, ma non ha spiegato perché ha continuato a perseguire relazioni commerciali ed energetiche così profonde da mettere la Germania in una posizione di dipendenza. Ciò che Merkel ora afferma è che il pericolo posto dal Cremlino era noto (e forse era meglio non sbandierarlo troppo davanti alle opinioni pubbliche europee) ma che non c’era altra via che limitare i danni, perché Putin non avrebbe esitato a muovere le truppe già nel 2008. Fu allora, nel vertice Nato di Bucarest, che la cancelliera si oppose all’adesione di Kiev. Il Paese non era ancora abbastanza democratico, dice, e ha ragione su questo punto.

Ci si può comunque domandare se una politica di moderazione doveva abbinarsi con una partnership economica così forte e pericolosa, che ha arricchito Putin per tutti questi anni. D’altra parte, Merkel potrebbe avere ragione, se si considera che il tempo guadagnato dal 2008 al 2022 ha permesso a Kiev di diventare uno Stato più solido e meglio capace di difendersi, anche grazie agli aiuti militari forniti nel frattempo dall’Occidente.

Ma il punto è che la storia probabilmente non si fa con i “se”. E oggi dobbiamo fronteggiare l’aggressività russa che continua a manifestarsi nel Donbass e sul fronte del grano. Su questo versante, la missione in Turchia del ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, sembra possa fare compiere passi avanti nel progetto di esportazione dei cereali ucraini sotto l’egida di Ankara. Ma i toni della contesa restano duri da parte di Kiev e anche di Bruxelles. Il presidente del Parlamento ucraino ha accusato ancora Mosca di rubare le derrate per spedirle verso Paesi amici, tra cui la Siria, mentre la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha ribadito che la responsabilità della crisi alimentare innescata dalla guerra ricade interamente su Mosca e sulle sue decisioni in materia. Spiragli, secondo la diplomazia turca, anche per una ripresa dei negoziati tra i due belligeranti. Ma sembrano più auspici e speranze che vere aperture verso una trattativa che possa portare alla tregua agognata. Intanto, dalla Russia arriva un’altra notizia inquietante e rivelatrice del clima che è stato imposto nel Paese.

Il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldschmidt, è fuggito dopo essere stato sottoposto a pressioni affinché sostenesse l'invasione dell'Ucraina. Lo ha reso noto Avital Chizhik-Goldschmidt, giornalista negli Stati Uniti e nuora del capo religioso, che sarebbe riparato in Ungheria poche settimane dopo l’avvio della guerra d’aggressione. La rivelazione arriva poche ore dopo la rimozione del numero due del Patriarcato ortodosso, Hilarion, a opera di Kirill, perché, sembra, non era abbastanza deciso sulla linea di appoggio al Cremlino.

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