
I civili accorrono sul cratere del raid a Khan Yunis in cerca dei propri familiari - undefined
«Colpito il capo militare di Hamas, l’architetto del 7 ottobre». L’annuncio su Haaretz e sugli altri media israeliani è come uno squillo di vittoria, forse pure un “mission accomplished” da poter esibire davanti ai falchi del governo per aprire, finalmente, il negoziato per una tregua proposta sei settimane fa da Joe Biden. Colpiti Mohammed Dief, il leader delle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas che, in quasi totale autonomia rispetto all’ala politica del Movimento di resistenza islamico a Doha, ha progettato l’eccidio del 7 ottobre nel Sud di Israele. Morto, invece, Rafah Salameh, capo della Brigata Khan Yunis in un raid confermato dall’esercito, mentre il ministro della Difesa Gallant, riunito con i vertici delle forze armate e dello Shin Bet, i servizi segreti interni, seguiva in diretta lo svolgersi delle operazioni.
Un raid aereo improvviso e violentissimo: 90 le vittime complessive, 289 i feriti. Centrato un edificio recintato da alberi ed in mezzo ad altre abitazioni civili ad al-Mawasi, definita “zona umanitaria”. E per questo, teoricamente, da tenere al di fuori dei combattimenti. L’esercito israeliano, nel confermare il raid e l’identità dei due capi militari, precisa che non è stata colpita una tendopoli di profughi come riferito dai palestinesi. Un attacco mirato, dunque, e studiato nei dettagli per colpire chi di solito vive nascosto nei tunnel.

L'area colpita a Khan Yunis - Ansa
Ma – come per la foto di qualche anno fa che ritrae Mohammed Dief, con i capelli grigi, un occhio cieco dietro la montatura di metallo, mentre tiene in mano un bicchierino di caffé – un velo di mistero resta sulla sorte del capo militare di Hamas obiettivo del raid a Khan Yunis.
Il Movimento di resistenza islamico ha smentito che Mohammed Dief, 59 anni, ma sulla cui reale identità da quasi 20 anni si rincorrono dubbi, sia stato colpito: «Le affermazioni israeliane sono insensate e mirano a giustificare l’orribile massacro», ha dichiarato Sami Abu Zuhri, alto funzionario di Hamas secondo cui l'attacco dimostra che Israele non è interessato a raggiungere un accordo di cessate il fuoco. Addirittura secondo la tv libanese al-Mayadeen, affiliata a Hezbollah, Mohammed Dief sarebbe addirittura in buone condizioni mentre sarebbero «infondate» le notizie di un suo grave ferimento. A sera, è intervenuto lo stesso Netanyahu, costretto ad ammettere: «Non ci sono piene conferme che Mohammed Dief sia morto nell’attacco aereo» come del suo vice. Ma assicurava: «Qualsiasi cosa accada, prenderemo tutti i capi di Hamas», aggiungendo che le possibilità di un accordo per il ritorno degli ostaggio miglioreranno accrescendo le pressioni sul Movimento di resistenza islamico.
Di certo, al di là dell’identità delle vittime, è una strage di enormi proporzioni. Poche ore l'ospedale Nasser di Khan Yunis ha fatto sapere di «non essere più in grado di funzionare» perché i medici della struttura sono «sopraffatti dal gran numero di feriti».
Un obiettivo importante, raggiunto - secondo con i media israeliani - grazie a un non meglio precisato “rapporto”. Un raid che scalfisce il mito dell’inviolabilità dello stato maggiore di Hamas asserragliato nei tunnel. Inviolabilità, in realtà, più volte insediata: nel 2021 Mohammed Dief è scampato al settimo attentato contro di lui. Deif, l’”architetto” non solo del sabato nero, ma anche del labirinto di tunnel sotto la Striscia di Gaza, da due decenni almeno è in cima alla lista dei super ricercati da Israele, ritenuto il responsabile della morte di decine di israeliani a causa di attacchi suicidi. Dopo il 7 ottobre il premier israeliano Netanyahu aveva promesso di uccidere la “troika” che guida il Movimento di resistenza islamico: il leader politico all’interno della Striscia, Yaya Sinwar, Mohammed Dief appunto, e il suo vice Marwan Issa, ucciso in un attentato lo scorso mese marzo. E, senza che vi sia una conferma sull’identità delle vittime, secondo il sito di informazione saudita al-Hadath, Hamas starebbe indagando su una «grave violazione interna» dopo l’attacco israeliano. Dato che Dief e il suo braccio destro si sono spostati più volte nelle ultime settimane, Israele avrebbe ricevuto informazioni di intelligence da alti funzionari di Hamas di «secondo o terzo livello» che sono stati arrestati e interrogati.
Il raid di ieri a Khan Yunis ha l’effetto di una vera fiammata con Hamas che ha lanciato un appello alla sollevazione in Cisgiordania e Gerusalemme Est: «Chiediamo a tutte le brigate della resistenza di mobilitarsi per Gaza», afferma un comunicato rilanciato da al-Jazeera. Hamas chiede ai palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est di partecipare a «manifestazioni di massa» contro Israele e «i coloni terroristi».
Forte condanna all’attacco di Israele in un «zona piena di sfollati» ha espresso il ministero degli Esteri del Cairo che, Paese mediatore nei colloqui per un cessate il fuoco, ha chiesto a Israele di «fermare gli attacchi contro i civili». La Giordania ha accusato Israele di «prendere di mira in modo sistematico civili e centri che ospitano sfollati» chiedendo alla comunità internazionale difornire protezione al popolo palestinese.
Quello di Khan Yunis non è stato l’unico raid della giornata. Poco dopo Hamas ha denunciato un secondo raid israeliano contro sala di preghiera in un campo profughi sulla spiaggia di Gaza, a ovest di Gaza City: sono 17 i morti secondo la Sanità di Hamas, questa volta in un campo profughi.