sabato 24 agosto 2019
Il presidente americano spara sulle esportazioni di Parigi: imposte sul vino se mantengono la tassa sui colossi del Web. Poi Macron trova «punti di convergenza» su Iran e incendi in Amazonia
Primo giorno del G7 a Parigi (Ansa)

Primo giorno del G7 a Parigi (Ansa)

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Le scintille delle tensioni commerciali attorno agli Stati Uniti, così come le fiamme dei roghi nel polmone verde amazzonico brasiliano, hanno fatto brutalmente irruzione ieri al tavolo del G7 di Biarritz, sul litorale atlantico transalpino, rischiando fin dal primo giorno di stravolgere l’agenda messa a punto dalla Francia. Ancor prima dell’inizio dei lavori nella località blindata come mai prima, sono volate minacce lungo l’asse Usa-Ue. Ad aprire il fuoco verbale, il presidente statunitense Donald Trump, furioso per il progetto di tassa sui giganti americani del Web, promosso nell’Ue proprio da Parigi, che il mese scorso ha promulgato la misura su scala nazionale.

Scontro tra i due Donald
Per Trump, la “digital tax” provocherebbe ritorsioni doganali statunitensi anti-Ue, a cominciare dai vini francesi tanto apprezzati negli States. Minacce a cui ha reagito in primis il “Donald europeo”, ovvero l’ex premier polacco Tusk, anch’egli a Biarritz da presidente del Consiglio Europeo a fine mandato: «Proteggerò il vino francese con sincera determinazione. Se gli Usa imporranno tasse, l’Ue risponderà per le rime», ha assicurato in una conferenza stampa dai toni poco diplomatici, riservando al contempo parole d’encomio al rappresentante italiano al G7, il premier dimissionario Giuseppe Conte, «uno dei migliori esempi di lealtà in Europa». Al neopremier britannico Boris Johnson, Tusk ha invece ricordato il rischio di «passare alla storia come Mister No deal». Fra loro, oggi, un cruciale faccia a faccia proprio sulla Brexit.

Quanto all’idea avallata dalla Casa Bianca di reintegrare Mosca fra i “Grandi”, trasformando di nuovo il G7 in G8 nell’edizione 2020 negli Stati Uniti, Tusk ha piuttosto consigliato a Washington di «invitare l’Ucraina, ovviamente come ospite», argomentando che l’aggressività russa non è cessata dai tempi dell’annessione della Crimea, nel 2014, che giustificò l’estromissione del Cremlino. Dichiarazioni impetuose che mettono pure in luce le divergenze esistenti, su questo dossier, anche fra Bruxelles e Parigi, essendo il progetto di riabilitazione russa in parte di fattura francese.

Date queste accese premesse, era difficile immaginare ieri toni gioviali al pranzo preliminare fra Trump e Macron, presentato da Parigi come “improvvisato”, ma che in ogni caso avrà obbligato i sommelier ad accortezze speciali, per evitare d’irritare ancor più, con vini francesi non azzeccati, il focoso invitato. «Otterremo molto questo week-end», ha comunque lanciato il capo della Casa Bianca al padrone di casa, vantando pure la «relazione speciale» stretta «da tempo» fra i due.

Il ruolo dell'Eliseo

Anche Macron ha cercato di far buon viso, ammettendo le divergenze esistenti in questo «momento importante di destabilizzazione su diversi temi», ma promettendo che proprio per questo i Grandi discuteranno a Biarritz fino a lunedì alacremente «affinché si possano trovare buone soluzioni in modo condiviso sui temi del digitale, del clima, delle pari opportunità». Per spiazzare forse tatticamente Trump e scongiurare la prospettiva di un vertice ancor più in salita, Macron ha pure indossato per l’occasione panni anti-statalisti, evocando una campagna di tagli fiscali in Europa per rilanciare l’economia e neutralizzare i rischi di recessione globale. Secondo l’Eliseo, il faccia a faccia fra i due presidenti ha evidenziato «punti di convergenza» su Iran, Amazzonia e dazi.

Parlando in televisione ai connazionali, Macron ha inoltre promesso che i trasporti marittimi e il settore della moda ridurranno drasticamente le emissioni di gas serra grazie agli impegni siglati a Biarritz coinvolgendo ampiamente il settore privato. Il capo dell’Eliseo ha pure auspicato «accordi utili» sulle crisi regionali (Iran, Siria, Libia, Ucraina) e sull’economia globale, disinnescando la guerra dei dazi «negativa per tutti», accanto a «progressi molto concreti» per lo sviluppo africano, oltre a una «mobilitazione di tutte le potenze» per l’Amazzonia, «bene comune» minacciato. Ma in proposito, dal coro europeo di accuse al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, si è leggermente defilato Johnson, in dissenso con Parigi circa l’eventuale uso di ritorsioni sui patti commerciali con il Mercosur.

Avvertimento a Pechino
Una posizione che conferma, alla luce delle convergenze Trump-Bolsonaro, pure il sottile equilibrio ricercato da Londra in mezzo ai dissensi transatlantici. Da parte sua, Conte ha avvertito circa la necessità di non trascurare, a causa della crisi politica in corso a Roma, le «grandi sfide globali che inevitabilmente si riflettono sul nostro Paese». In giornata, a tenere alta la tensione è stata pure la reazione giunta da Pechino agli ultimi annunci della Casa Bianca sui dazi pronti a colpire 550 miliardi di dollari d’importazioni americane dalla Cina. «Questo protezionismo commerciale unilaterale e prepotente e l’estrema pressione da parte americana violano il consenso dei capi di Stato di Cina e Usa, raggiunto a Osaka», ha seccamente commentato il Ministero cinese del Commercio. Pechino minaccia conseguenze, se le «cattive azioni» americane non cesseranno.

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