martedì 13 ottobre 2009
La vittima del sequestro è padre Michael Sinnott, 78 anni, che assiste da tempo i bambini disabili. Non sono arrivate rivendicazioni né richieste di riscatto per il suo rilascio. La cattura del religioso, che necessita di cure quotidiane, è avvenuta domenica a Pagadian. Nella zona operano i terroristi islamici di Abu Sayyaf e del Milf.
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Hanno fatto irruzione nel giardino di casa sua, l’hanno sequestrato mentre pregava l’Ufficio delle Ore al calar della sera. Quindi l’hanno trascinato su un minivan, poi trovato bruciato poco distante; caricatolo su una barca, l’hanno portato lontano dalla sua gente, soprattutto i bambini disabili, che da 40 anni assiste.Erano le 19,20 di domenica, ora locale, quando un commando di sei persone ha rapito il missionario irlandese Michael Sinnott a Pagadian, città nei pressi di Zamboanga, sull’isola filippina di Mindanao. Non è ancora chiaro chi siano i rapitori del 78enne sacerdote, ma i sospetti si concentrano su due organizzazioni terroriste islamiche presenti nella zona, Abu Sayyaf e il Fronte di liberazione islamico Moro (Milf), protagonisti di attacchi e attentati in nome della loro spinta secessionista dal governo di Manila. «Non vogliamo speculare sui possibili autori dell’aggressione, ma i terrisristi di Abu Sayyaf sono attivi in quest’area» ha detto ad AsiaNews Angelo Sunglao, responsabile della polizia nella zona occidentale di Mindanao. A preoccupare è soprattutto la salute dell’anziano missionario: secondo alcuni testimoni il prete presentava alcune ferite al momento del sequestro: «Si poteva vedere del sangue sul petto e sul dorso», ha riferito una donna. Un altro testimone ha riferito che padre Sinnott è stato «picchiato». L’agenzia asiatica Ucan aggiunge la notizia, riportata da un missionario laico dell’ordine di San Colombano – lo stesso cui appartiene il prete rapito –, secondo cui padre Michael nel 2007 ha subito un’operazione chirurgica al cuore. Il vescovo di Pagadian, monsignor Emmanuel Cabajar, ha chiesto anzitutto ai rapitori di «trattare con rispetto» il missionario e «rilasciarlo prima possibile», ricordando come egli «ha lavorato per lungo tempo qui offrendo un servizio impagabile alla gente, in particolare ai bambini». Il prelato ha aggiunto che al momento non è arrivata nessuna rivendicazione né richiesta di riscatto. Ha però ricordato che il missionario necessita di cure mediche quotidiane. A sostegno della liberazione «incondizionata» di padre Sinnott si è pronunciata un’associazione islamica di Mindanao, il Consortium of Bangsamoro Civil Society, che ha espresso «solidarietà con i nostri fratelli cristiani nel condannare questo atto» di violenza. I musulmani hanno inoltre dichiarato di «pregare» per la salvezza del missionario. Padre Michael ha alle spalle una lunga «carriera» missionaria. Nato nella contea di Wexford, nell’Irlanda meridionale, è stato ordinato prete nel 1954, quindi ha studiato tre anni a Roma e poi è partito per Mindanao nel 1957, dove è rimasto fino al 1966. Ha ripreso servizio nelle Filippine nel 1976, dedicandosi all’assistenza dei bambini disabili. Nel 2007 l'odissea di padre Bossi. le indagini o i comunicati dei rapitori potranno dire nei prossimi giorni le ragioni del rapimento di padre Michael Sinnott sulla grande isola di Mindanao, dove un confratello irlandese, un altro missionario di San Colombano, padre Rufus Halley, era stato ucciso in un tentativo di sequestro nella stessa provincia di Lanao del Sur nel 2002 e dove l’italiano padre Giancarlo Bossi era stato liberato nel 2007 dopo quaranta giorni di prigionia.Il “sequestrificio” di Mindanao (come lo chiamano ormai in molti nelle Filippine), che ha tanti volti e troppe “ragioni”, ha preso prodotto un altro ostaggio e tutto ricomincia: dubbi, indagini, trattative, attese. Ma anche i giochi delle responsabilità e degli scambi tra movimenti islamisti, criminalità comune, sovente un mix di questi, che si confronta con troppi interessi che mirano a fare dei sequestri occasioni espropriate dalla politica, dalle connivenze. A giustificare le azioni di un esercito che al suo ruolo istituzionale ha affiancato negli ultimi tempi un sostegno senza precedenti a una presidenza, quella di Gloria Macapagal Arroyo intransigente tanto verso il variegato universo indipendentista e terrorista musulmano, quanto contro le opposizioni, senza riuscire pertanto a disinnescare criminalità e violenza diffuse.Terra di troppe opportunità ma anche di un benessere finora eluso e di una ambigua autonomia che finisce per deludere la minoranza musulmana e per emarginare la maggioranza cristiana, Mindanao resta un posto scomodo, dove la possibilità di farsi prima o poi dei nemici è sempre presente e dove chiunque può rischiare di essere coinvolto nei conflitti, nelle faide o semplicemente nella ricerca di un benessere immediato e ottenuto con pochi scrupoli. I missionari non fanno eccezione e hanno pagato un pesante tributo alla fede, all’impegno e alla coerenza. Un tempo si parlava di esso come di «Far West» e ancora oggi Mindanao è terra lontana e «incognita» per la maggior parte dei filippini. Non fosse per la cocciutaggine dei missionari e della sua Chiesa impegnati nel dialogo, nella difesa delle popolazioni tribali, nel sostegno ai contadini minacciati dall’esproprio delle terre per lasciare spazio all’avanzata delle compagnie minerarie e delle multinazionali alimentari, nella difesa del suolo e delle acque, sarebbe terra privata anche della speranza.
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