
Una manifestazione ad Addis Abeba per le vittime del conflitto - Ansa
Massacri di civili, distruzione di strutture, sicurezza compromessa con territori fuori controllo in Amhara, lo stato che sta nel cuore dell’Etiopia. La denuncia viene da diverse associazioni locali mentre un reportage dell’Economist del 31 maggio ha raccontato nei dettagli un eccidio di civili da parte dell’esercito di Addis Abeba. Uno schema da guerra sporca che sta diventando abituale in Etiopia, già visto nei due anni di guerra del Tigrai e che oggi si ripete.
I conflitti interni per i confini e la terra stanno distruggendo l’Etiopia e riguardano l’Oromia, dove vive il 34% degli etiopi, il Beninshangul Gumuz, dove sorge la discussa Grande Diga del Rinascimento sul Nilo costruita dalla italiana We Build - solo negli ultimi giorni gli scontri al confine tra questi due stati hanno provocato 11 mila sfollati - e la Regione dei Somali, l’ex Ogaden. Conflitti che secondo le Nazioni Unite e la Croce Rossa internazionale hanno provocato oltre quattro milioni di sfollati a causa delle pulizie etniche e portato lo stato a indebitarsi per armarsi portando l’inflazione reale al 30%. Le vittime sono per lo più Amhara e gruppi minoritari più piccoli senza voce.
Gli Amhara appoggiarono nel 2020 con le loro milizie regionali l’esercito federale e le truppe eritree nella guerra sporca contro i tigrini che provocò oltre 600 mila morti. La chiave del conflitto odierno sta lì, perché si concluse con l’accordo di Pretoria del dicembre 2022 firmato dai tigrini e dal governo federale, mai accettato dalla dirigenza Amhara perché lasciava al Tigrai la contesa (fertile e ricca di oro) zona occidentale. Dal 2023 dunque si combatte in Etiopia una nuova guerra civile sporca e disastrosa. Secondo le Nazioni unite, dal 2023 sono state chiuse circa 4.800 scuole chiuse per il conflitto e circa un milione e mezzo di bambini di conseguenza sono rimasti senza istruzione e servizi di mensa. Sono stati distrutti molti ospedali (come in Tigrai) e arrestati 121 medici. I dati ufficiali parlano di almeno 450 civili uccisi negli scontri con i militari, ma l'Economist ha documentato nel numero di fine maggio il massacro di Birakat, nella provincia amarica del Goggiam. Almeno 46 civili, tra cui donne, bambini e anziani, sarebbero stati uccisi dai soldati di Addis Abeba che avevano appena subito un attacco delle milizie Fano. Secondo il settimanale britannico si tratta di un “inquietante modello di rappresaglia contro i civili.”
I testimoni hanno riferito che le Forze di difesa nazionale hanno trascinato le persone fuori dalle case, le hanno radunate e ne hanno giustiziate decine. Questo ricorda le atrocità commesse dall'esercito etiope nel Tigrai. Accuse molto pesanti, ma il massacro è stato negato dal governo del premier Abiy Ahmed, Nobel per la pace nel 2019.
Tolto l’appoggio ad Abiy, gli Amhara si sono alleati con il dittatore eritreo Isayas Afewerki il quale di recente in chiave anti etiope si è riavvicinato ai tigrini nonostante le truppe asmarine continuino a occupare la provincia degli Irob, confinante con l’Eritrea. Nel suo rapporto annuale al Consiglio per i diritti umani dell’Onu Mohamed Abdelsalam Babiker, relatore speciale sull'Eritrea, dopo aver ribadito che la situazione dei diritti umani nel piccolo Paese africano resta critica, ha confermato le violazioni in corso da parte delle forze armate eritree nelle aree del Tigrai, tra cui “esecuzioni extragiudiziali, detenzioni arbitrarie, violenze sessuali, rapimenti, sfollamento forzato di civili”. Nel Tigrai la situazione umanitaria dei 700.000 sfollati (provenienti dalle zone contese con gli Amhara) resta tragica perché sono tra i più colpiti dai drastici tagli dell’amministrazione americana alla cooperazione di Usaid. Finita la guerra, la pace qui non è ancora arrivata.