mercoledì 3 agosto 2022
Il lungo lavoro di preparazione dell'intelligence americana
al-Zawahiri in un frame di un video del 2011

al-Zawahiri in un frame di un video del 2011 - Fotogramma

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Com’è riuscita la Cia ad individuare la residenza del leader di al-Qaeda? Qualcuno della cerchia di al-Zawahiri ha tradito? Sappiamo che sulla testa dell’egiziano pendeva una taglia del Dipartimento di Stato Usa. Potrebbe esser stata un incentivo. Non lo sapremo mai con certezza, anche se corrompere per scucire informazioni riservate è uno strumento classico dei servizi d’intelligence.

Senz’altro, il missile abbattutosi sabato su al-Zawahiri ha goduto di informazioni estremamente precise. Un raid del genere non si improvvisa.

A monte c’è un enorme lavoro preliminare, forse opera di una missione di sorveglianza clandestina a Kabul, per conoscere luogo di residenza, abitudini e legami stretti del leader di al-Qaeda. Gli agenti segreti americani sanno mutare sembianze e volti per assomigliare in tutto all’etnia in cui si confondono.

Per la missione a Kabul potrebbero essersi infiltrati indossando fogge locali, come gli shalwar kameez. In passato, queste vesti erano intessute dagli americani con decine di metri di fili speciali, per intercettare le radio di debole potenza e i segnali dei telefoni portatili. Ma anche qui non ci sono certezze: al-Qaeda è un’organizzazione ermetica, fatta di cellule di piccola taglia, compartimentate, molto attente alla sicurezza.

Evitano quanto più possibile i mezzi di comunicazione classici e ricorrono a strumenti criptati o semplici messaggi scritti. Funzionano come scatole nere, difficili da scardinare. Ed ecco allora che si affaccia un’altra ipotesi: dopo vent’anni di missioni ininterrotte in loco, gli americani hanno forse conservato un nucleo di informatori in Afghanistan? Una rete di protezione e di orecchie informate.

Nonostante il ritiro precipitoso da Kabul, l’estate scorsa, gli Usa hanno continuato a monitorare la capitale e il Paese dai loro avamposti mediorientali. Hanno pure avviato un’operazione ad hoc, ribattezzata Sentinella Duratura. Conoscevano da aprile l’ubicazione esatta del nascondiglio di al-Zawahiri, il «dottore». L’uomo non si era mai allontanato dal suo nuovo rifugio: una casa con terrazza, modesta ma confortevole, nel quartiere Sherpur, affollato di vertici taleban. Potrebbe aver commesso una leggerezza. Era abitudinario. Amava trascorrere ore sul suo balcone. Si è forse esposto a occhi vigili? L’Afghanistan non ha difese aree e i velivoli spia americani ne solcano i cieli impunemente. Vanno a caccia di dettagli. Hanno filmato la casa del leader di al-Qaeda, permettendo ai servizi d’intelligence di riprodurre un modello in scala, per addestrarsi al raid. I sensori dei droni vedono spesso meglio dei satelliti. Sappiamo per certo che i velivoli della Cia e del Jsoc, suo gemello in operazioni, sono equipaggiati con sistemi di intercettazione delle comunicazioni telefoniche. Si connettono passivamente alle antenne trasmittenti, ottengono i numeri dei cellulari e localizzano la fonte. Si spiega così la chiusura del cerchio intorno all’obiettivo?

Prima di aprile, le ali della Cia potrebbero aver ascoltato conversazioni telefoniche riservate fra membri di al-Qaeda disattenti alla sicurezza e vicini al leader, carpendo informazioni preziose. Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, ritiene che gli americani potrebbero essere stati imbeccati pure da Islamabad, in rotta di collisione con i taleban.

O che questi ultimi abbiano voluto sacrificare al-Zawahiri per dare un’immagine pulita del nuovo corso afghano. Sono tutte ipotesi verosimili, che rientrano nel modus operandi della Cia e del Jsoc: agire nell’ombra e clandestinamente, per portare a termine con successo un omicidio mirato. Un meccanismo semisegreto che contravviene alle leggi della guerra, uccidendo senza uniformi, a dispetto delle Convenzioni di Ginevra.

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