sabato 3 giugno 2023
La Fondazione per la pace in Europa, secondo gli 007 occidentali, dirige tutto: «Fra i sospettati di collaborazione, ex leader di governo, funzionari Onu e un ex presidente della Commissione Europea»
Un edificio bombardato a Makayevka nel Donetsk

Un edificio bombardato a Makayevka nel Donetsk - Reuters

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L’altra guerra si combatte senza sporcarsi le mani. Gettando in pasto ai social parole chiave rassicuranti come «appeasement», spingendo sulla necessità di «mettersi d’accordo» per «fermare il massacro». E non ci sarebbe niente di male a parlare di «pacificazione», se non fosse che a sfruttare anche le migliori intenzioni c’è la peggiore «disinformatia» di Mosca, sostenuta a suon di rubli da insospettabili personalità e organizzazioni.

Dietro la tastiera un giro di società, conti in paradisi fiscali, pagamenti mascherati da donazioni o consulenze. Una galassia che fa perdere le sue tracce a Istanbul, a Cipro, a Malta e le cui mosse rischiano deliberatamente di non far più distinguere i pacifisti per vocazione da quelli «per donazione». L’accusa contenuta in alcune analisi di intelligence che Kiev sta condividendo con i Paesi alleati, per una volta lascia da parte il dibattito sulle ragioni o i torti. I documenti visionati da Avvenire ricostruiscono le principali tecniche di condizionamento del dibattito. Sono lo specchio di un timore molto sentito in Ucraina: «Perdere il sostegno dell’opinione pubblica dei Paesi partner, mettendo sullo stesso piano aggredito e aggressore e considerando come accettabile una soluzione del conflitto che comporti la cessione di territori e popolazioni e la presenza stabile di forze russe all’interno dei confini». Gli 007 ucraini puntano l’ingranditore su vecchie conoscenze e nuovi sodali, protagonisti di una operazione che comincia da lontano, ma che viene affinata ogni giorno. Ci sono spie, come quella infiltrata da Mosca nella Corte penale internazionale e scoperta un anno fa dai servizi segreti olandesi, e poi società informatiche, esponenti politici, opinionisti e l’immancabile network di mercenari informatici ben remunerati.

«Le pressioni ibride – si legge – sono state concepite per garantire il riconoscimento delle politiche russe in Ucraina e per minare il sostegno all’Ucraina da parte dei leader europei». Avendo fallito i piani per una guerra lampo, «la Russia ha ripensato la sua strategia, compresa quella per l’espansione politica e ideologica in Europa». E ha fatto ricorso all’immarcescibile manuale della “disinformatia” teorizzata e applicata fin dai tempi del Kgb sovietico, l’agenzia statale di spionaggio nella quale si è formato Vladimir Putin.

La regia, secondo i documenti di Kiev, è affidata soprattutto alla “Fondazione per la pace e la comprensione in Europa”, un organismo evanescente, dal nome che non spaventa. Non una novità. Lo scopo, lamentano gli analisti dell’intelligence, è quello di «impedire il sostegno occidentale all’Ucraina». Ne farebbero parte agenti russi o affiliati a Mosca, incaricati di far funzionare «il meccanismo di influenza ibrida» sulle opinioni pubbliche europee. A costruire per tempo la rete di controinformazione viene indicato Igor Chumakov, capo del “5° Servizio del Dipartimento di Informazione Operativa” dell’Fsb, il servizio segreto federale. Chumakov, formalmente indagato a Kiev insieme ad agenti ucraini accusati di tradimento, è un nome ricorrente in questo genere di operazioni, grazie alle relazioni ben remunerate nei palazzi che contano. Una serie di verifiche societarie, anche attraverso la rilettura dei “Pandora Papers” dei “Paradise Papers”, conduce dritti ad alcuni esponenti politici. Come la tedesca Ina Kirsch van de Water, con un passato nelle istituzioni di Bruxelles.

Le inchieste del Consorzio internazionale di giornalismo investigativo (Icij) hanno portato allo scoperto i segreti finanziari di primi ministri, oligarchi, mafiosi e altri potenti. Kirsch van de Water insieme al marito Robert van de Water, già dal 2011 aveva diretto un centro che secondo gli ucraini doveva promuovere gli interessi degli allora leader politici Viktor Yanukovich (presidente) e Andriy Klyuyev (premier). Nomi che ritorneranno.

Attraverso il grimaldello di società sfuggenti e conti correnti in paradisi fiscali, è difficile ricostruire la rotta del denaro transitato a partire da quegli anni. Nei piani iniziali del Cremlino, una volta eliminato Zelensky, Putin avrebbe voluto reinstallare a Kiev proprio l’accondiscendente Yanukovich. Un progetto fallito a causa dell’inattesa resistenza ucraina e della ritrovata compattezza europea.
Nella lista dei sospettati per attività al servizio della “Fondazione” ci sono cinque esponenti europei di primo piano. Nessuno di loro è formalmente indagato e i loro nomi rimangono al momento coperti. Nessuno di loro è ancora in carica. Si tratta di ex leader di governo o ai vertici di agenzie internazionali. Da quanto risulta svolgono attività di «consulenza», qualche volta per conto di società collegate o riconducibili al Cremlino. Tra questi un ex presidente della Commissione europea, un ex alto funzionario Onu, un ex governante francese, un esponente di governo tedesco e anche un capo di Stato in pensione. Uno dei primi casi di manipolazione delle informazioni in favore di Mosca venne scoperto dalla Repubblica Ceca nella primavera del 2022. Venne arrestato Bohuš Garbár, che all’epoca scriveva per il sito Web di controinforazione Hlavné Správy. Garbár ha ammesso di essere stato reclutato e pagato da emissari del Cremlino.

Secondo i documenti ucraini ci sono «agenti filorussi» in tutta l’Ue, perciò suggeriscono alle intelligence dei Paesi europei di monitorare i contatti della “Fondazione” a cui «dovrebbe essere impedito di cooperare con partiti o movimenti politici», e in particolare «con quei movimenti che in Europa stanno cercando», proprio nel pieno della crisi in Ucraina «di proporre la riforma dei sistemi statali e delle Costituzioni». Perché a Vladimir Putin è rimasta ancora una carta da giocare: «Seminare divisione nell’Unione Europea». Il «cavallo di Troia» è considerato Viktor Orbàn, perciò da Kiev guardano con molta attenzione, e una dose di diffidenza, ai sostenitori del premier ungherese in Europa

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